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“NON FERMARTI CITTADINO, NON RESTARE MAI A GUARDARE…”

cittadinanzattivaIn una politica vecchia quanto il mondo, ma, a differenza di esso, incapace di un qualche moto interno (gli scossoni derivano solo dall’esterno!), c’è bisogno di un rivoltarsi, che non sia un girare a vuoto, e di mettere al centro della nostra vita qualcosa che valga davvero, come un perno.
Ecco allora la rivoluzionaria teoria civicentrica, dove al centro del tutto si pone il cittadino. E’ una teoria che potremmo altresì definire eliocentrica, perché il suo fulcro è il sole, ovvero la stella civicratica, gigante fra le nane. Se Civicrazia, il cui significato intrinseco è proprio il dominio del cives sulla propria vita, riprendesse un celebre versetto biblico, direbbe: “Fermati, o cittadino” però, solo per guardare il sole, per guardare la stella che indica il cammino. Ed è una tensione verso la luce, quella che si irradia dalle parole del Dott. Pascapè, membro della direzione nazionale e della segreteria nazionale di Cittadinanza Attiva, pianeta dell’universo civicratico, nonché coordinatore dell’Assemblea territoriale NAPOLI CENTRO:  “Non fermarti cittadino, non fermarti mai a guardare…”.

Dott. Pascapè, Lei è a capo di Cittadinanza Attiva. Cosa rappresenta questa associazione?

Cittadinanza Attiva  è organizzata in assemblee territoriali di cittadini che si aggregano per problematiche specifiche, al fine di migliorare la qualità della vita. Il motto è “condividere, codecidere”. Viviamo in un’epoca di deficit di cittadinanza, nel senso che votiamo, individuiamo referenti ma il nostro partecipare alla politica  dovrebbe risiedere nell’affermazione dei diritti di un cives attivo, che prende in mano la sua vita ed esprime la sua volontà, e non solo che prende in mano una matita ed esprime un voto di preferenza. Riceviamo tante notizie, tuttavia non possiamo dire di essere informati. Dobbiamo prenderci invece le nostre responsabilità e dimostrare di essere cittadini partecipi seguendo i consigli municipali, e quelli regionali. 
O la comunità diventa cittadina ed ognuno offre il proprio contributo o non c’è classe dirigente che tenga, che possa tenere in piedi una politica senza midollo. La casa in cui viviamo deve essere una casa di cristallo, per trasparenza delle cariche pubbliche e visibilità, ma non per fragilità.
E purtroppo ora stiamo solo raccogliendo i tanti vetri di una delle finestre di questa nostra casa: Napoli. Ed io, che sono anche a capo di Napoli Centro, una giovane Associazione territoriale, soffro naturalmente delle ferite inferte a questa città.

Sulla scia della luce di Civicrazia e di quel  fetore che appesta invece la città di Napoli, cosa bisognerebbe dire al cittadino?

Bisognerebbe dire “Fermati o cittadino” solo per guardare il pattume di Napoli e subito dopo fare qualcosa per non doverlo più guardare.
Bisognerebbe dire sì, a combattere i rifiuti e no, al rifiuto di combattere. E per vincere è necessario combattere insieme.

Qual è la vostra battaglia?

In questo momento noi monitoriamo la situazione, secondo un criterio spaziale e temporale (luoghi ed ore dei cumuli di rifiuti). Sul sito www. napolicentro.cittadinanzaattiva. it  si possono percorrere itinerari particolari, ed i visitatori vengono accompagnati lungo questo cammino. Si può  vedere il pattume con gli occhi di un fanciullo, ovvero possiamo percorrere insieme ad un bambino il tratto che separa la sua casa dalla  scuola. Il bambino nel video è mio figlio e da lui veniamo presi per mano, per poter dare una mano, anche solo per imboccare, dopo esserci rimboccati le maniche, la strada della speranza: il lezzo è da spazzare via anche e soprattutto con il profumo dell’innocenza. Perché i nostri ragazzi sono il nostro futuro, e bisogna parlarne oggi, perché domani non ci sia il silenzio degli innocenti.
Per servire infatti una bella Napoli il cives deve rivoltarsi contro le mani in pasta e contro il darsi in pasto, ed infine deve preparare il suo riscatto, con la ricetta di Civicrazia.

 

Se l’immondizia che sommerge Napoli, decisamente non si inquadra in una problematica del “ sommerso” vi sono invece, anche, tanti mali oscuri da disservizio che come sottomarini invisibili colpiscono la qualità della nostra vita. E’ questa non è forse l’altra faccia dell’economia sommersa?

L’economia sommersa  è solo quella parte di reddito che non emerge da un controllo fiscale o statistico, o è anche quella parte di reddito che viene fuori dalle nostre tasche, senza che emerga dalle nostre coscienze? Su Costo Zero, periodico dell’unione degli industriali di Salerno, Lei ho proposto appunto riflessioni sui costi occulti, su quello che costa il disservizio al cittadino, in termini sia di reddito, sia di qualità di vita.
Il disservizio generalmente si quantifica in termini di cifre non impiegate in maniera ottimale, riflettendo alla fine sul rapporto fra la risorsa impegnata ed il risultato ottenuto. Io invece mi sono concentrato su di un altro aspetto. Ad esempio su quanto ci costa l’inefficacia della politica di sicurezza, della politica sanitaria, di quella scolastica e di quella inerente ai pubblici trasporti. Sono tutti costi “occulti da percezione”, ovvero non emergono alla coscienza. Posso dire ad esempio che possedere un’automobile e pagarne il relativo utilizzo è una mia libera scelta? O è forzosa e dipendente da una cattivo funzionamento dei mezzi pubblici nonchè della politica di sicurezza? Per quello che concerne propriamente il tema della security, le porte blindate, le inferriate, gli antifurti non sono tutti costi aggiuntivi, derivanti da una mancata risposta dello Stato ad una richiesta di protezione del cittadino? Noi siamo così assuefatti al veleno del disservizio che paghiamo due volte senza accorgercene: paghiamo le tasse e paghiamo la mala erogazione del servizio, dovendolo compensare in qualche modo. Prendiamo gli asili nido; hanno una copertura di ore bassa rispetto alle esigenze del cives, costituendo così un doppio danno: il tempo piuttosto limitato che il bimbo trascorre a scuola danneggia infatti sia il budget della famiglia, costretta a sopperire magari tramite una baby sitter, quindi tramite un costo ulteriore, sia l’offerta scolastica, a mio avviso povera di ore di studio preziose per gli alunni.
Vorrei toccare anche le dolenti note  della sanità pubblica. Nonostante le tasse, il cittadino, di fronte ad un problema di salute che richiede un pronto intervento, per evitare le lunghissime file di attesa, si vede costretto a pagare delle prestazioni private. Amara attesa anche per problemi non gravi ma egualmente urgenti, come il pagamento di una bolletta (pensiamo alle code interminabili agli sportelli pubblici!)
Alla faccia delle gabbie salariali, io mi trovo in gabbia e volano via soldi e tempo libero.

Cosa si evince dal “Rapporto  sui costi di cittadinanza” 2008-2009 realizzato dalla Direzione Generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica  del Ministero dello Sviluppo Economico?

Premesso che il Rapporto è utile e prezioso, individuando i costi che le famiglie di 14 aree metropolitane hanno sostenuto nel 2008-2009 per fruire di beni e servizi pubblici, ritengo tuttavia che abbia bisogno di migliorie, al fine di rendere il lavoro fatto anche dialettico. Ad esempio, secondo quanto pubblicato, si evince che gli asili nido a Napoli costano meno rispetto ad altre città, ma non emerge il fatto che hanno la copertura di ore più bassa. Senza nulla togliere a questo sacrosanto lavoro, penso però che andrebbe aperto ad una riflessione anche con il cittadino, arricchito del suo punto di vista, e relativizzato territorialmente.
Una soluzione?  La Carta della qualità dei servizi.

Cos’è la Carta della qualità dei servizi?

La Carta della qualità fa riferimento al comma 461 della Legge Finanziaria, ed è una leva di cambiamento, ma ha trovato un’applicazione molto relativa. Il comma vede Associazioni di consumatori insieme a quelle di categoria riunite intorno ad una sorta di tavolo permanente, impegnate costantemente ad esaminare reclami, osservazioni, proposte migliorative. Si prospetta così un ambito di confronto stabile nel tempo, un gruppo sempre pronto a chiedersi che capacità abbia l’offerta di servizio di rispondere ad una domanda: tanto più risponde, tanto più il servizio è di qualità. Gli enti locali sono indotti a riscrivere le carte dei servizi che si trasformano in carte di qualità. La Carta diventa così una sorta di oggetto in continuo movimento, perfezionamento, non volendo rimanere su carta, ma reclamando un’ applicazione concreta. Non vuole essere solo un esercizio di stile, un libro dei sogni, ma un lavoro partecipato, regolato sui tempi di vita delle famiglie, sulle esigenze dei cittadini per quanto concerne i servizi di trasporto, i servizi di sicurezza, i servizi sanitari e quelli scolastici.

In che consiste la verifica partecipata dell’adeguatezza dei parametri quantitativi e qualitativi del servizio erogato?

E’ obbligo emanare una Carta dei servizi redatta in base a intese con le Associazioni dei Consumatori. La verifica dei parametri operata periodicamente con i consumatori è un sistema di monitoraggio permanente e vi è almeno una sessione annuale di verifica  fra l’ente locale, l’erogatore di servizio e l’Associazione dei Consumatori. E’ un lavoro che risponde al senso più profondo di Cittadinanza Attiva e che ne raccoglie lo spirito del “codecidere, condividere”.
 

Abbiamo parlato di un male sotto gli occhi di tutti,  che avvelena Napoli, di mali minori e invisibili che, come polveri sottili, inquinano inconsapevolmente la nostra quotidianità. Ma ci sono anche beni che restituiscono purezza e profumo alla nostra vita, beni come far del bene.
Cosa può dirci in proposito?

Tutti e tre gli argomenti hanno un unico comun denominatore: la coscienza. Esiste la coscienza dell’essere cittadino, la coscienza dei beni che ci vengono tolti, ed infine, ma non ultima, quella del bene che possiamo fare.
La coscienza è l’unica parola chiave che apre anche l’ultima porta, quella del volontariato, impegno attraverso il quale l’uomo dimostra davvero di essere partecipe e compartecipe, ridando un senso nuovo ad una parola antica: umanità. 
Nel recuperare il valore della spontanea partecipazione, il volontariato chiude il cerchio di Cittadinanza Attiva e chiude anche il circolo vizioso della Cittadinanza passiva.
Ma oggi il terzo settore, quello del volontariato, è diventato troppo professionale, estrinsecandosi il lavoro di tutela soltanto in quello portato avanti dalle Associazioni Si dovrebbe tornare invece ad un modello misto: il modello delle Organizzazioni va infatti sostenuto, dobbiamo però sostenere anche la solidarietà come valore, le persone che, non impegnate a tempo pieno in quest’ambito, vogliono dare una mano.  Un altro elemento, a quest’ultimo intimamente collegato, e parimenti non valorizzato, è il mancato utilizzo di risorse umane, di uomini cioè pronti ad offrire il proprio aiuto ma ancora inseriti in un mondo del lavoro, i cui orari sono penalizzanti. Pochi sanno che Brunetta ha dato la possibilità ai pubblici dipendenti di trascorrere gli ultimi cinque anni lavorativi presso un’Associazione di volontari, percependo il 75% dello stipendio. Una delle norme di questa legge riconosce il diritto all’aderente al volontariato di chiedere forme di flessibilità del lavoro. Badi bene: flessibilità, non sconti sull’orario. Questo articolo di Brunetta finanzia un progetto sociale, offrendo unità lavorative a costo zero. Costo zero: questa parola magica ritorna, ancora una volta.

Qual è la risposta che si aspetta dalle forze politiche e quale dovrebbe essere quella che dimostrerebbe la forza della politica?

E’ la stessa. Mi aspetto che lo Stato risponda con l’offrirci una lena e una leva civicratica: promuovere cioè la conoscenza e l’applicazione dell’ articolo suddetto, con rapporti sui risultati raggiunti. Mancano infatti statistiche sulle norme della flessibilità.
 

Cosa lega Civicrazia e Cittadinanza Attiva?

Il fatto di dare una mano, o meglio di essere le dita della stessa mano. Cittadinanza Attiva e Civicrazia, sono il pollice e l’indice, dediti a scrivere il libro sempre aperto del cittadino “Il mondo come volontà e rappresentazione”.

                Francesca Toncli

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