La vicenda si è, comunque, conclusa positivamente con l’intervento del Presidente del Tar, Giuseppe Di Nunzio, che ha assicurato alla professionista che potrà tornare nelle aule del Tribunale con il velo hijab senza alcun problema.
L’episodio fa sicuramente rilfettere per i numerosi risvolti che genera. Bene ha fatto la Belfakir a far valere i suoi diritti, tenuto anche conto che il velo hijab lascia scoperto il volto e, quindi, rende la persona che lo porta identificabile. Tuttavia, esso può considerarsi un fatto emblematico dei seri e delicati problemi che comporta il multiculturalismo, l’integrazione razziale, il rispetto delle tradizioni, cultura, usi di un popolo che non contrasti con quanto normato nel Paese che lo accoglie. Con i Paesi Arabi non vige la reciprocità. In ogni modo, tornando al caso in questione, se non può, e non deve, infastidire un velo hijab, che deve essere, invece, tollerato e consentito, anche se potrebbe offendere sostanzialmente il percorso che le donne occidentali hanno compiuto, e ancora compiono, per il riconoscimento dei loro diritti, identificando nel “capo coperto” un segno di sottomissione, perchè, allora, mettere al bando un crocifisso o un presepe per rispettare altrui fedi? Non sarebbero, invece, quei simboli strumenti e canali di maggiore conoscenza e consapevolezza reciproca, la cui presenza insegni la tolleranza e il vero rispetto?
E’ civicratico vigilare e riflettere perchè la faccenda dell’immigrazione non sia l’ennesimo business e la Costituzione una carta per discriminare con la forzatura delle interpretazioni.
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