Dic 11, 2018 | Notizie | 0 commenti

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COMUNICATO STAMPA – RETE SOCIALE: “UNA DENUNCIA E UNA PROPOSTA PER I PIU’ FRAGILI”

Il diritto dei sofferenti psichici di ottenere cure appropriate è troppo spesso negato dalla Asl di
Benevento. Perciò stamattina, nel Palazzo del Volontariato, la Rete Sociale onlus ha presentato
un dossier di denuncia al Difensore Civico della Regione Campania e una  proposta concreta di
solidarietà: una “Fondazione per i più fragili” di cui è promotrice Serena Romano nella duplice
veste di presidente della Rete Sociale e di sorella di Paola Romano, morta nel 2007 sull’aliscafo
della Siremar-Tirrenia schiantatosi sulla scogliera del porto di Trapani. In memoria di Paola, la
Romano ha donato 45.000 euro per il fondo della Fondazione – di cui si riparlerà in dettaglio a
pratiche notarili concluse – che raccoglierà le donazioni di parenti di sofferenti psichici
preoccupati per il ”dopo di noi” e di cittadini solidali: fra questi, il sindaco di Palermo Leoluca
Orlando e l’attore Alessandro Preziosi attivi nel Comitato Promotore della Fondazione.

COME NASCE LA DENUNCIA AL DIFENSORE CIVICO
Il Difensore Civico il 9 ottobre scorso ha concluso un’istruttoria (protocollo n. 0017004/U)
sollecitata da famiglie e associazioni come l’ANGSA, sull’inadeguatezza dell’assistenza ai malati
“autistici”, che in Campania e a Benevento superano la media di 1 ogni 60 abitanti. Ma il fulcro
del problema individuato dal Difensore, non riguarda solo gli autistici, bensì tutti i malati
psichici che vorrebbero essere curati con terapie efficaci, oggi possibili, e invece sono
sottoposti a sistemi di cura inappropriati. Scrive infatti l’avv. Fortunato che dai  
“dati riportati” emerge che  “non si applicano le nuove metodologie personalizzate fondate sull’attenzione al caso singolo… “
perchè  in Campania c’è un “contrasto a innovazione e umanità” 
provocato da interessi economici : “… il giro di affari, legato alla logopedia e alla psicomotricità in Campania
fa parte di un pacchetto di 300 milioni di euro annui, per lo più spesi per terapie vecchie,
costose, non in linea con quanto ha evidenziato la ricerca moderna, recepita in Italia già dal
2012…. perché per comodità e interesse di pochi, il business delle vecchie pratiche continua”.
E per esemplificare la gravità del fenomeno, il Difensore ricorre a una metafora:  
“consentire agli operatori privati di smerciare prodotti e servizi scaduti… equivale ad accettare di avere in
circolazione cibi avariati. Il che non è giuridicamente e moralmente accettabile” 

Come risulta, dunque, anche dal dossier consegnato dalla Rete Sociale al Difensore, il problema
degli autistici è analogo a quello di altri malati psichici che chiedono un Progetto Terapeutico
Riabilitativo Individualizzati (PTRI) – scientificamente valido ed economicamente sostenibile –
ma sono sottoposti a inappropriati  e costosi ricoveri di tipo “manicomiale” in case di cura
private o altre forme di riabilitazione inefficaci.
Una situazione inaccettabile: anche perché sia le cure agli autistici con ”metodi basati sulle più
avanzate evidenze scientifiche”  (come prescrive l’art. 60/DPCM 12-1-2017), sia i PTRI, sono
definiti LEA: cioè, Livelli Essenziali di Assistenza che per nessun motivo possono essere negati
al cittadino.  Neanche per mancanza di risorse economiche. Anzi, laddove la mancanza di fondi
è sollevata dalla Asl per giustificare il mancato servizio, vuol dire che è responsabile chi non ha
provveduto a programmare la spesa trovandosi, così, con i conti “scoperti”.
E già nel 2016 il presidente della Giunta Regionale, De Luca raccomandava ai responsabili di
Asl e Comuni (con il decreto n. 91070) “di organizzare… e programmare” 
 i LEA onde  “fornire una tempestiva, continuativa, efficace, risposta ai bisogni dei cittadini”:   
perchè in caso di inadempienza, come ammonisce ora anche il Difensore, i responsabili sono obbligati  a
“risarcire il cittadino dal danno legato al mancato adempimento dei LEA”.
La mancanza di risorse si rivela dunque pretestuosa o infondata, come sottolinea il Difensore
Civico, prendendo ad esempio proprio Benevento:  
“La Pubblica Amministrazione sanitaria …contesta la mancanza di risorse,
ma da un esame coordinato pubblico-privato in Campania, ciò non risulta…
l’ASL di Benevento che ha tanto tardato il varo dei terapisti necessari per i malati
autistici (non pagati da aprile 2018), ha deciso di utilizzare 1,8 milioni di euro per la sanità
privata…”  
Un dirottamento verso il “privato” anziché verso i LEA-PTRI, segnalato al Difensore
anche dalla Rete Sociale che chiede: “Perché l’Asl di Benevento non ha ripartito questi 1,8
milioni di euro inutilizzati sui vari settori dell’Asl riqualificando la spesa per LEA e PTRI, come
prevede il DCA 16/2013? E perché non ha rispettato neanche il DCA 85/2016 che impone di
incrementare del 10% il budget annuale assegnato ai PTRI che, invece, dal 2015 è sempre lo
stesso?
Insomma, se è vero che la legge individua le fonti di finanziamento per i PTRI, ma l’Asl di
Benevento non le utilizza; e se è vero che a chi chiede un PTRI si risponde: “non ci sono i soldi”;
questo rischia di diventare un pericoloso scaricabarile di responsabilità fra dirigenza Asl,
Distretti e DSM. Il direttore generale della Asl, infatti, nell’incontro pubblico del 28 novembre
scorso a Cerreto Sannita ha declinato ogni responsabilità: “Non ho mai rifiutato servizi per
mancanza di risorse. Noi rispondiamo ai medici che ci indicano i fabbisogni: se non lo fanno,
rivolgetevi al DSM”. Ma in realtà, il direttore sanitario della Asl, D’Alterio, ha contestato e
annullato proprio le decisioni dei medici prese in UVI: cioè, nell’Unità di Valutazione Integrata,
l’organo incontestabile e sovrano nell’indicare la terapia più idonea al paziente. Perciò la Rete
Sociale ha chiesto al Difensore: in base a quale normativa D’Alterio si è arrogato tale diritto? E
poichè il Direttore Sanitario ha chiesto anche ai Direttori di Distretto di ridefinire i setting
assistenziali per verificarne la correttezza e questi glielo hanno contestato, chi ha ragione? Lui
o i Direttori che, su parere di un legale, hanno risposto che entrare nel merito di prestazioni LEA
già ritenute necessarie e appropriate, li esporrebbe al rischio di risponderne penalmente,
civilmente e contabilmente?
PERCHE’ CREARE UNA FONDAZIONE
Attendiamo, dunque, le risposte a questi interrogativi. Ma i malati non possono aspettare.
Perciò nasce la Fondazione: per colmare i vuoti di assistenza creati dall’attesa e per sostenere
le cooperative sociali e il volontariato che si stanno facendo carico di inaccettabili abbandoni da
parte del Pubblico e del Dsm. Così, la  Fondazione ha già compiuto un gesto solidale: pochi
sanno che il Centro “E’ più bello insieme” – preso di mira dal Comune anche bloccando i
pagamenti dal 1 maggio al 31 agosto – non ha mai smesso di funzionare, grazie agli operatori
sempre presenti e grazie al pagamento dei loro stipendi con le elargizioni del “5 per mille” e
con 7.000 euro già prelevati dal fondo dei 45.000 destinato alla costituenda Fondazione. I
disabili, infatti, non potevano aspettare.              
                      
Per la Rete Sociale: il presidente Serena Romano
Benevento 11-12-2018

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