Apr 20, 2022 | Notizie | 0 commenti

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LA PAURA ANIMATA E LA SPERANZA CIVICRATICA

Non abbiamo fatto in tempo ad uscire da una pandemia che ci troviamo con un piede in una guerra mondiale. La costante è la paura, producendo e minacciando esclusione.

Ma quale società si costruisce guidati dalla paura?

La paura come dispositivo di controllo sociale viaggia attraverso un linguaggio stigmatizzante che determina una comunicazione asfittica e tautologica.

In altri termini comunicare la paura profilando scenari apocalittici rende le persone isolate e più facilmente disposte a cedere al ricatto del “se non farai così allora la pagherai!”.

La paura destabilizza le relazioni sociali, introduce la sfiducia, genera la preoccupazione e si sviluppa sull’ambiguità di nozioni che vengono, in linea di massima, fornite già impacchettate da un deformante agire comunicativo, che si preoccupa di stabilire forme e linguaggi di significazione sociale e di stabilire il posto di ciascun gruppo sociale.

L’assenza di occasioni per problematizzare la paura e i suoi effetti e la mancanza di spazi di comune partecipazione alla vita pubblica appaiono come aspetto inquietante del presente.

L’uomo, che è animale sociale e politico, si trova oggi a sacrificare sempre più lo spazio pubblico, lo spazio della socialità, della partecipazione per una sicurezza, che non nasce da conoscenza critica, ma da stratagemmi effimeri che, oltre a negare la ricchezza del pensiero plurale, negano la stessa libertà.

La libertà non può nascere da una delega della tutela ad un sistema securitario sostanzialmente fondato sull’estirpazione procedurale di ciò che crea difformità.

Quello che veramente risulta disastroso per l’attuale democrazia rappresentativa è che in genere i cittadini esprimono le proprie opinioni su degli assunti pubblici, basandosi su delle informazioni ricevute principalmente dai media e primo fra tutti la televisione. Come evidenzia Sartori (Democrazia: Cosa è, Rizzoli, 1993), la democrazia non può avanzare se i media non cambiano la forma di presentare le trasformazioni sociali.

La paura, strumento efficacissimo di paralisi, utilizzata per creare fratture sociali, viene montata sulla mistificazione di un’era d’oro della certezza distrutta con l’irrompere del contraddittorio. E’ chiaro che questa logica nega la possibilità allo spazio pubblico, al significato più originario e pregnante di spazio pubblico cioè quello di luogo di incontro, nell’autentico e libero confronto, per una comune costruzione di senso e rispetto civico.

Il dramma del pensiero unico è che non esistono vincitori, esiste una condivisione monadica di una progressiva disumanizzazione dell’uomo, che, per dirla con P. Freire, è prigioniero della dialettica oppressi-oppressori, che non permette emancipazione ma solo sofferenza. Una dialettica che genera infelici, che impone standard di vita insostenibili, che calpesta la dignità.

Avere paura di per sé non ha niente di sbagliato, può essere una reazione comprensibile, rappresenta l’universale reazione all’ignoto. La strumentalizzazione della paura e la codificazione che ne viene fatta come nuova imprescindibile normalità è ingiusta e umiliante. È come se da un certo punto in poi la paura ci venisse indicata come costrutto morale a partire da cui valutare gli altri e come unica forma di agire rispetto al mondo.

Quindi volendo riassumere da una parte mi viene data dall’esterno un’identità fissa, corredata di tutto quello che mi può servire per individuare il nemico, dall’altra la paura mi viene indicata come atteggiamento sano di prevenzione verso la minaccia di “diverso”.

Se la paura, così animata, diventa il nuovo imperativo, essa paralizza l’azione e l’interazione e impedisce l’esercizio della responsabilità civica e della libertà.

È chiaro, quindi, che ci sarà così qualcuno che agirà per tutti.

Chi esclude produce un movimento stantio che delinea il centro che rappresenta il potere attorno a cui soltanto il gruppo dei legittimati si raggruppa.

Una società dell’uniforme in cui si può pensare soltanto se si è incaricati.

Ma tale quadro grigio non potrà mai abbattere la Speranza di chi sa che nel confronto sincero, nell’ascolto e nell’arricchimento con altre visioni, di incentivo al dialogo e alle competenze possiamo tutti costruire partecipazione piena, gioia, Giustizia.

 

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Valentina Raiola

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