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A FAVORE DELLE VITTIME DELLA MALASANITÀ

A favore delle Vittime della Malasanità 

a.   Il Diritto alla Salute nell’Ordinamento Italiano

Ai sensi dell’art. 32 Cost., ad ogni individuo è riconosciuto il fondamentale e inviolabile diritto alla salute, affermando che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo”.

L’art. 32 della Costituzione presuppone che la salute del cittadino deve essere garantita “mediante cure effettivamente adeguate anche ove non vi siano in loco protocolli scientifici e terapeutici di sicura efficacia, sia in termini di immediatezza, sia in termini di risultato”.

E’ sulla base di questa previsione costituzionale che la legge tutela le vittime della malasanità. 

Essendo il diritto alla salute un diritto inviolabile e fondamentale,  la Legge garantisce che chiunque abbia subito un danno alla salute a causa di una errata condotta medica, se sussistono i presupposti, può ottenere un adeguato risarcimento dei danni subiti e delle spese sostenute.

Inoltre, la legge n. 595/1985, art. 3 rubricato come “Prestazioni erogabili in forma indiretta e prestazioni aggiuntive di assistenza sanitaria”,  al comma 5, autorizza i pazienti italiani a recarsi all’estero per ottenere prestazioni sanitarie non ottenibili in Italia tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico;

La comprensibile sfiducia nella Sanità Italiana,anche alla luce dei problemi che la affliggono, come pure la ricerca di cure adeguate spingono i malati ovvero i loro familiari a rivolgersi sempre più spesso a Nosocomi stranieri.

Per tale ragione i malati si vedono costretti dalla necessità di ottenere cure adeguate a recarsi all’Estero a proprie spese, sobbarcandosi costi spesso inaccettabili per chi ha basso reddito.

   

  1. Evoluzione giurisprudenziale

Sul grave problema una recente quanto importante sentenza del TAR di Lecce, sez. III, 20 febbraio 2023, n. 256 ha affermato un principio fondamentale innovativo:

 il paziente può recarsi all’estero, chiedere il rimborso delle spese sostenute all’ASL competente per territorio e non dover dimostrare che il trattamento avrebbe potuto essere ottenuto anche in Italia. Incombenza che spetta all’ASL medesima.

Spetta,quindi, all’ASL e non al richiedente provare che esistano trattamenti sanitari simili in Italia. 

Nel caso di specie, l’Amministratore di sostegno di un paziente, che era stato già curato e assistito in alcuni centri di eccellenza in Italia, ha individuato in un centro di eccellenza in Austria un presidio ospedaliero in grado di trattare in modo adeguato la patologia del paziente, contribuendo a migliorarne le condizioni del paziente.

Conseguentemente, lo stesso Amministratore ha richiesto l’autorizzazione all’Asl competente ma quest’ultima, nonostante abbia riconosciuto che il centro all’estero aveva offerto al paziente “complesse metodiche di alta specializzazione” aveva negato la predetta richiesta di autorizzazione e/o rimborso delle cure mediche di neuro riabilitazione già sostenute “per la mancanza di prova dell’impossibilità del servizio sanitario nazionale di erogare cure pari a quelle ottenute all’estero”(sic!)

Per contro, come doveva essere noto alla ASL competente, la Direttiva Europea 2011/24 ha sancito da tempo la libertà per tutti i cittadini-pazienti europei di potersi recare all’estero per poter fruire di cure, servizi e trattamenti sanitari, quando questi non siano disponibili nel proprio Paese d’origine o di residenza.  

Si tratta di una delle condizioni che anche la Corte europea di giustizia ha ribadito è quella relativa alla presenza di trattamenti similari nel Paese di provenienza,che impedirebbero quindi la scelta di recarsi all’estero.

Alla luce del contesto sopra brevemente descritto, il TAR di Lecce ha evidenziato quanto segue:

  •        sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, atteso che trattasi di potere autorizzatorio riconosciuto in capo alle ASL, che “intermedia la situazione giuridica soggettiva del cittadino che aspira ad ottenere cure gratuite all’estero, al fine di verificare il ricorrere di alcune specifiche condizioni prese in considerazione dalla legge a tutela dell’interesse pubblico al corretto utilizzo delle risorse e al buon andamento dell’Amministrazione sanitaria”;
  •        la legge n. 595/1985, art. 3 rubricato “Prestazioni erogabili in forma indiretta e prestazioni aggiuntive di assistenza sanitaria”, comma 5, autorizza i pazienti italiani a recarsi all’estero per ottenere prestazioni sanitarie non ottenibili in Italia tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico;
  • la completa e analitica documentazione medico-sanitaria prodotta dall’Amministratore di sostegno costituisce “sufficiente dimostrazione di elementi precisi gravi e concordanti circa la necessità delle cure mediche specificamente richieste” all’estero;
  • l’Asl avrebbe dovuto esperire una più dettagliata istruttoria e avrebbe dovuto motivare in modo più preciso la specificazione che in loco la paziente avrebbe potuto con certezza e immediatamente ottenere gli stessi trattamenti e gli stessi risultati;
  • l’art. 32 della Costituzione presuppone che la salute del cittadino deve essere garantita “mediante cure effettivamente adeguate anche ove non vi siano in loco protocolli scientifici e terapeutici di sicura efficacia, sia in termini di immediatezza, sia in termini di risultato”;
  • l’adeguatezza delle cure (ottenute all’estero, come nel caso di specie) “non può essere disconosciuta assumendo il difetto di certezza di guarigione, tanto più allorquando le terapie dspecie) comunque assicurato al paziente documentate utilità non effimere”;
  •        al paziente non può essere addossato il “gravoso onere di dimostrare l’efficacia e l’adeguatezza della cura all’estero, laddove non sussistano altrettante certezza per le cure in loco”;
  • è dunque compito dell’Asl dimostrare che lo stesso risultato si possa raggiungere con il servizio sanitario nazionale secondo canoni di certezza, o quanto meno di buona probabilità, e di immediatezza.

In conseguenza,accogliendo il ricorso dell’Amministratore di sostegno, il Tar di Lecce ha confermato le previsioni contenute nella Direttiva 2011/24 sul diritto dei pazienti a fruire di cure sanitarie all’estero.

In questo senso, l’art. 8, par. 2 della Direttiva prevede che le cure transfrontaliere siano assoggettate ad autorizzazione preventiva nei casi in cui l’assistenza sanitaria:

  1. sia soggetta ad esigenze di pianificazione riguardanti l’obiettivo di assicurare, nel territorio dello Stato membro interessato, la possibilità di un accesso sufficiente e permanente ad una gamma equilibrata di cure di elevata qualità o la volontà di garantire il controllo dei costi e di evitare, per quanto possibile, ogni spreco di risorse finanziarie, tecniche e umane e che:
  2. i) comporti il ricovero del paziente per almeno una notte, o ii) richieda l’utilizzo di un’infrastruttura sanitaria o di apparecchiature mediche altamente specializzate e costose;
  3. richieda cure che comportano un rischio per il paziente o la popolazione, o sia prestata da un prestatore di assistenza sanitaria che, all’occorrenza, potrebbe suscitare gravi e specifiche preoccupazioni quanto alla qualità o alla sicurezza dell’assistenza, ad eccezione dell’assistenza sanitaria soggetta alla normativa dell’Unione europea che garantisce livelli minimi di sicurezza e qualità in tutta l’Unione.

Le disposizioni della Direttiva innanzi citata sono state recepite con il D.lvo n. 38/2014, che ha confermato che le autorità sanitarie competenti non possono negare l’autorizzazione preventiva quando l’assistenza sanitaria richiesta dal paziente quando la prestazione oggetto della richiesta di autorizzazione non può essere prestata sul territorio nazionale entro un termine giustificabile dal punto di vista clinico, sulla base di una valutazione medica oggettiva dello stato di salute del paziente, dell’anamnesi e del probabile decorso della sua malattia, dell’intensità del dolore e della natura della sua disabilità al momento in cui la richiesta di autorizzazione è stata fatto o rinnovata.

Qualora l’ASL disponga per il diniego all’autorizzazione, il provvedimento negativo deve risultare adeguatamente motivato e qualora l’autorizzazione preventiva venga negata in ragione di una prestazione analoga ottenibile senza ingiustificato ritardo presso una struttura afferente al SSN, l’ASL deve individuare e comunicare al richiedente il prestatore di assistenza sanitaria in grado di erogare sul territorio nazionale la prestazione richiesta.

La sentenza de qua, intervenuta quasi dopo dieci anni dalla sentenza Petru (C-268/13, Elena Petru contro Casa Jude?ean? de Asigur?ri de S?n?tate Sibiu e Casa Na?ional? de Asigur?ri de S?n?tate) ha dunque affermato il diritto dei pazienti a recarsi all’estero per fruire di cure sanitarie adeguate, immediate e funzionali a migliorare il loro stato di salute ed evitare i danni che potrebbero derivare da una mala gestione del caso da parte dei sanitari preposti alle cure.

c.Il risarcimento dei danni per le Vittime della Malasanità

Scendendo nel dettaglio, le responsabilità cui il medico o la struttura sanitaria sono sottoposti si distinguono in:

  • responsabilità contrattuale;
  • responsabilità extracontrattuale.

La responsabilità contrattuale si verifica nel momento in cui la struttura sanitaria e il paziente concludono tra di loro un contratto.

Questo contratto, anche se atipico – ovvero non espressamente tipizzato da parte della legge – comporta tra le parti il sorgere di alcuni obblighi. La responsabilità deriva dall’inadempimento dell’obbligazione.

La responsabilità extracontrattuale invece si ha quando l’evento ingiusto e dannoso è stato causato dalla violazione del generico obbligo di non ledere gli altrui diritti.

È doveroso sottolineare come la sussistenza di una delle due responsabilità non esclude l’altra, per cui per accertare la responsabilità medica – ottenendo quindi risarcimento – possono sussistere anche contemporaneamente entrambi i tipi di responsabilità.

A coloro che sono vittima di errore medico oppure sono familiari del paziente deceduto, viene riconosciuto il diritto a ottenere l’integrale risarcimento danni per malasanità.

I danni risarcibili sono sia danni patrimoniali sia danni non patrimoniali.

Vediamo entrambe le tipologie nel dettaglio.

Danno patrimoniale

Questo tipo di danno ha una connotazione prettamente economica, per cui è direttamente valutabile in termini monetari. All’interno di questa categoria sono ricompresi:

  • danno emergente: è una perdita patrimoniale che ad esempio è dovuta da terapie imposte dall’errore sanitario o al costo di farmaci, oppure alle spese funerarie in caso di decesso;
  • lucro cessante: individua un mancato guadagno a causa del periodo di invalidità temporanea oppure indica la diminuzione complessiva del reddito come conseguenza della riduzione della capacità lavorativa. In caso di decesso è il venir meno dei contributi economici.

Danno non patrimoniale

A differenza del danno patrimoniale, questa tipologia di danno non ha connotazione economica, ma piuttosto è una conseguenza della violazione di diversi valori della persona. Il loro valore è individuato attraverso dei criteri prestabiliti e dalla discrezionalità del giudice. Questa categoria comprende:

  • danno biologico: consiste nel danno alla salute, ovvero l’invalidità temporanea o permanente dell’integrità psicofisica oppure, in caso di decesso, da danno terminale;
  • pregiudizio morale: riguarda la sofferenza interiormente patita dal paziente;
  • danno esistenziale: si verifica quando per la forzata rinuncia ad attività ricreative il soggetto ha subito uno sconvolgimento delle abitudini di vita;
  • danno estetico: come conseguenza di una lesione dell’integrità morfologica o dell’aspetto esteriore della persona;
  • lesione del diritto all’autodeterminazione: in seguito alla violazione del consenso informato;
  • danno da perdita di chance;
  • pregiudizio relazionale: quando sono stati compromessi i rapporti con le altre persone;
  • danno catastrofale: il paziente è stato in grado di percepire consapevolmente il proprio destino;
  • danno da perdita anticipata della vita;
  • danno da perdita del rapporto parentale.

 

d. Risarcimento dei danni per malasanità e prescrizione

Con il termine prescrizione ci si riferisce al tempo che ha a disposizione una persona per far valere in giudizio i propri diritti. Una volta scaduti i termini – che sono espressamente previsti dalla legge – il diritto è prescritto, per cui non sarà più possibile avanzare al giudice la propria pretesa risarcitoria.

Nel nostro caso, il diritto a richiedere il risarcimento del danno per malasanità è soggetto alle regole generali in tema di prescrizione.Per l’individuazione dei termini di prescrizione occorre far riferimento alla natura contrattuale o a quella extracontrattuale della responsabilità della struttura sanitaria o del medico.Per la responsabilità contrattuale il nostro ordinamento individua un termine di prescrizione di 10 anni.

L’art. 2946 c.c. afferma che “Salvo i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni”.Per quanto riguarda la responsabilità extracontrattuale il termine di prescrizione è invece di 5 anni.

L’art. 2947 c.c., primo comma, stabilisce infatti che “Il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in 5 anni dal giorno in cui il fatto si è verificato”.

La salute è una cosa preziosa, é la sola cosa, in verità, che meriti che una persona vi adoperi non solo il tempo, il sudore, la fatica, i beni, ma anche la vita al suo conseguimento, tanto più che senza di essa la vita stessa diviene penosa e difficile.

Mario Pavone,  Avvocato, Docente in Master.

 

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