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LA LIBERTA’ DI SCELTA DEL MODELLO DI CURA COME OPPORTUNITA’ DI INVERTIRE LA ROTTA DAL MANICOMIO VERSO LA VITA

IL DIRITTO DI SCELTA DEL MALATO MENTALE

La battaglia intrapresa dal Difensore Civico Regionale della Campania contro le forme illegali di esternalizzazione delle prestazioni sanitarie di residenzialità psichiatrica territoriale per adulti, ha finalmente aperto concretamente la preziosa opportunità per l’indispensabile riflessione approfondita sul reale grado di effettività della libertà di scelta del malato mentale in Italia. 

Quando in campo scientifico su di una malattia ci sono modelli diversi di cura (a dominanza biologica, a dominanza sociale, a dominanza psicologica), lo Stato, a parità di spesa, dovrebbe permettere al cittadino di scegliere la forma di cura che questi ritiene più adatta a sé. Purtroppo, il modello imperante italiano di cura priva, invece, il malato mentale di questa scelta, perpetuando una visione anacronistica biologica del trattamento della malattia mentale, sia nella fase della prevenzione, sia in quella della cura, sia in quella del post-cura.

 

LA PREVENZIONE

In campo scientifico si afferma sempre di più che una buona prevenzione nella cura della sofferenza mentale dovrebbe essere la strada privilegiata. Una corretta prevenzione si può realizzare solo con un efficace intervento psicoterapico. Purtroppo, in Italia nei Dipartimenti di salute Mentale vige fondamentalmente l’indirizzo biologico e non si effettua nessuna prevenzione. 

I Cittadini sono costretti a fare ricorso ai professionisti (psicoterapia) privati per effettuare la prevenzione. 

 In questo modo nella prevenzione si crea non solo una disparità di trattamento tra ricchi e poveri, ma si consumano la maggior parte dei soldi pubblici per tamponare un incremento della patologia causata dalla mancanza di una corretta prevenzione.

 

LA CURA NEI SUOI DIVERSI GRADI

Purtroppo il paziente, al suo primo approccio con la malattia, non viene informato dallo specialista cui approda rispetto ai diversi tipi di cura esistenti. Anche qui il ricco, avendo più conoscenze e più risorse economiche, può optare per una cura psicoterapica.

 E’ evidente come, nel servizio sanitario nazionale, la visione dominante resta quella biologica con tutti gli effetti deleteri della cronicizzazione. La cosa diventa ancora più seria se c’è necessità di una cura più intensiva (ricovero in regime residenziale e semiresidenziale territoriale). Al paziente è tolto il diritto di scegliere tra residenze con l’indirizzo di cura che ritiene più adatto a sé. 

È obbligato ad essere ricoverato nelle strutture statali o sedicenti tali – attraverso procedure di esternalizzazione illegali analoghe a quelle oggetto della censura da parte dell’Avv. Fortunato, Difensore Civico della Regione Campania – in cui l’unico metodo che esiste è quello a dominanza biologica con una riabilitazione “intrattieni”.

Ne è prova lo stile organizzativo delle “strutture sanitarie cosiddette statali”. Lo Stato si riserva la direzione medica (fattore biologico), mentre per tutte le prestazioni sanitarie/riabilitative (fattore psicologico e sociale) bandisce appalti di durata variabile, che, oltre che essere illegali, si basano sul principio dell’offerta al ribasso.

Se il paziente, poi, riesce a realizzare l’ingresso in una struttura che segue il modello cosiddetto psicosociale, la cosa diventa ancora più problematica per due motivi:

  • I responsabili del Piano terapeutico riabilitativo del DSM lo stilano secondo il modello a dominanza biologica e pretendono che sia rispettato dalle strutture che seguono l’indirizzo bio-psico-sociale. Il lettore può capire come la poca chiarezza sull’orientamento teorico umilia il paziente, i clinici e la scienza.
  • La cura della sofferenza mentale richiede spesso il trasferimento del paziente tra strutture con intensità assistenziale diversa. Esse sovente non prendono minimamente in considerazione che nel trattamento secondo l’approccio bio-psico-sociale l’unità di modello tra le diverse strutture è indispensabile. Succede che, come nella tela di Penelope, ciò che costruisce una struttura viene disfatto dall’altra. Questo stile è la radice della incombente cronicità. 

      Chi segue l’indirizzo a dominanza biologica non si meraviglia di ciò, venendo confermato nel suo pregiudizio dell’inguaribilità della malattia mentale.

 

IL POST-CURA O DELLA SALVAGUARDIA DELL’EQUILIBRIO RAGGIUNTO

Le differenze tra il modello a dominanza biologica e quello bio-psico-sociale o integrativo della teoria dei tre fattori si palesano in modo estremo nella fase del reinserimento del paziente nella famiglia/società.  Nel modello a dominanza biologica i pazienti migliorati ritornano in famiglia/società con una cura farmacologica, ritornando a visita di controllo ogni mese circa; quelli cronicizzati sono destinati alle cosiddette comunità socio-sanitarie che diventano piccoli cronicari, che si distinguono dai vecchi manicomi solo per la loro ridotta estensione numerica.

Nel modello integrativo intersoggettivo dei tre fattori (psicologico, sociale e biologico) alcuni pazienti, che hanno preferito fermarsi nel processo di cura, proseguendo con un sostegno minimo farmacologico, ritornano a casa e col sostegno giusto riescono ad evitare ricadute e ad inserirsi nel mondo del lavoro. Altri, che hanno portato a buon punto il lavoro di ristrutturazione, tornano a casa e proseguono con la psicoterapia individuale (una o al massimo due ore settimanali) fino alla completa autonomia. 

Nel frattempo, si inseriscono nel mondo del lavoro e si realizzano spesso anche in un progetto di vita affettiva di coppia.  

 

LA LIBERTA’ DEL PAZIENTE COME FORZA RIVOLUZIONARIA

Dopo gli atti del Difensore Civico risulta ora evidente  tutto il lavoro da fare, se si guarda ciò che si può e si deve realizzare con gli approcci bio-psico-sociali alla malattia mentale.

La libertà di scelta del tipo di cura da parte del paziente e della sua famiglia, oltre che essere un diritto inalienabile di ogni persona, può diventare una forza rivoluzionaria per il progresso della cura della sofferenza mentale. Il confronto costringe a crescere, a qualsiasi orientamento si appartenga.

Oramai tale prospettiva della libertà del paziente, del rispetto della legalità e del confronto è davvero inarrestabile. 

Santolo Lanzaro

Manager in strutture residenziali psichiatriche territoriali private accreditate

 

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