Feb 11, 2010 | Eventi | 0 commenti

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TRASPARENZA E CHIAREZZA NEGLI UFFICI STAMPA: UNA BATTAGLIA CIVICRATICA

 Le telecamere e l’ufficio stampa di Civicrazia erano presenti venerdì 29 gennaio agli Stati generali dell’informazione degli uffici stampa, promossi dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e della FNSI, "La solitudine degli uffici stampa".

Il video:

Oltre ad una ripresa dell’evento, proponiamo un angolo di approfondimento sulla trasparenza della comunicazione pubblica:
 

Comunicazione istituzionale e uffici stampa: l’indipendenza va garantita 

La comunicazione istituzionale nasce dall’esigenza delle istituzioni, siano esse centrali, locali e periferiche di informare correttamente il cittadino sulle attività in corso e sulle possibilità offerte, rispondendo contemporaneamente al bisogno civicratico di chiarezza e trasparenza in merito al proprio operato. L’obiettivo è quello di contribuire alla definizione di un’immagine precisa e credibile dell’istituzione e della pubblica amministrazione.
In tal senso, dopo la L. 241/90, la legge più importante è stata la L. 150/2000, in quanto perfeziona un processo, che ha visto la radicale trasformazione del rapporto tra cittadino e PA, confermata anche dalla visione proposta dal Piano e-government per l’Italia. Il cittadino e le imprese devono essere al centro dell’attenzione, le procedure amministrative devono adeguarsi alla domanda, la trasparenza dei procedimenti e la relativa semplificazione sono un obbligo, così come l’integrazione fra uffici diversi delle PA, sia locali che centrali. Una vera e propria rivoluzione, una nuova dinamica che richiede rapidi cambiamenti nella cultura di governo.
Una legge, la 150/00, chiude il decennio delle riforme amministrative, rappresentando al tempo stesso, un punto di arrivo e un punto di partenza: punto di arrivo, perché disciplinare legislativamente le attività di informazione e di comunicazione delle Pubbliche Amministrazioni vuol dire riconoscere che se fra Amministrazioni e cittadini non c’è comunicazione se questi ultimi non sono realmente tali, e punto di partenza, perché da essa bisogna muovere per spostare ancora più avanti i confini della cittadinanza amministrativa.

Nella società dell’informazione, se le Pubbliche Amministrazioni non comunicano (che è cosa diversa dal semplice informare),  i cittadini non possono essere sovrani, al massimo possono essere utenti o clienti. E’ difficile che possa esserci una buona comunicazione pubblica laddove l’amministrazione non rispetta le esigenze dei cittadini e i principi civicratici di efficienza, imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa.
In questo senso, la 150/2000 è anche l’affermazione di un duplice principio: principio etico (deontologico) e sostanziale, in quanto incipit di un percorso di revisione della pubblica amministrazione e dei rapporto di quest’ultima con il Cittadino. Ciò perché la 150 è solo in parte obbligatoria, ed in parte un’opportunità lasciata all’intuizione di dirigenti pubblici illuminati e – spesso – manca la coscienza civica necessaria a saperne cogliere il beneficio.
Dall’emanazione della 150, dunque,la comunicazione pubblica si è sempre più legittimata quale obbligo istituzionale e al tempo stesso quale opportunità e risorsa da investire per determinare sostanziali cambiamenti nel rapporto tra cittadini e Amministrazione, tra Amministrazione e società. Un cambiamento misurabile in termini di recupero di immagine, di fiducia e di affidabilità.
Eppure, di fatto, il paradosso è che, a dieci anni della sua entrata in vigore, la Legge 150/2000 resta parzialmente una direttiva aleatoria, spesso non applicata nemmeno dai principali soggetti preposti alla sua attuazione: Stato, Comuni, Provincie, Regioni, Comunità montane, ASL. La legge resta una vana, pur se importantissima, operazione di principio volta a portare l’etica e la deontologia del giornalista anche all’interno della pubblica amministrazione. Si tratta di una sconfitta? Niente affatto. La legge sarà una sconfitta solo se non sarà portata a compimento fornendole strumenti attuativi, in primis le sanzioni da associare alla sua non applicazione. E’ essenziale trovare la volontà politica di attuare le indicazioni del legislatore nazionale.

L’Italia sembra essere invece un Paese in cui le regole fanno paura. La malapolitica utilizza l’informazione e la comunicazione pubblica solo nella fase terminale del processo politico (l’emanazione del classico comunicato stampa o il concepimento del sito istituzionale come sorde vetrine dello status quo del potere della pubblica amministrazione o di questo o quel comune,  regione, etc.), mentre invece l’informazione dovrebbe essere propedeutica al processo decisionale, sul piano della conoscenza e del dialogo con il cittadino – che ha diritto di aver voce, come di essere ascoltato -.

C’è un interesse politico nel tenere sotto guinzaglio giornalisti, uffici stampa e comunicatori pubblici, privati di fatto della propria libertà economica; l’unica loro scelta resta finire di fare l’attendente di questo o quella forza.
Spetta ai comunicatori pubblici, all’Ordine, ai Sindacati, e ai cittadini in primis, sollecitare l’esercizio di tale funzione, nel rispetto rigoroso dei principi generali indicati dalla legge 150. Si tratta di concorrere a stabilire l’obbligatorietà, all’interno di ciascuna Amministrazione, di una struttura organizzativa diretta da un comunicatore pubblico, che presidii e coordini progetti, azioni, servizi e strumenti di comunicazione interna ed esterna.
L’informazione pubblica deve essere indipendente dal pubblico potere. Il principio è semplice quanto innovativo: l’informazione non deve essere più considerata strumento di governo, ma patrimonio da condividere con gli altri uffici pubblici e con il cittadino. Quest’ultimo finalmente non dovrà più preoccuparsi di quale sia l’ufficio erogante quel dato servizio, ma dovrà avere un’unica interfaccia nella Pubblica Amministrazione. Occorre, a tale scopo, rivedere anche le logiche della cooperazione fra enti e l’integrazione di competenze orientandole al parametro della customer satisfaction.
Nell’erogazione del servizio, comunicarlo è elemento essenziale per la soddisfazione del cittadino.

Occorre pertanto un ripensamento della macchina amministrativa e del rapporto fra cittadini ed istituzioni.

Le implicazioni di questa riflessione possono essere colte solo se si riconosce dietro al concetto di comunicazione pubblica l’idea di flussi informativi bidirezionali tra cittadini e pubblica amministrazione. Si tratta di un’idea non scontata, specialmente alla luce della storia della pubblica amministrazione in Italia. La comunicazione pubblica, dunque, si realizza solo laddove c’è un’autentica interazione, a due vie, tra cittadini e Stato. Laddove c’è solo il monologo dell’istituzione pubblica potremo avere uno Stato che comunica, magari nel senso deteriore del termine propaganda, ma non avremo comunicazione pubblica.
In questo quadro, un ulteriore impulso allo sviluppo e al radicamento della comunicazione pubblica può e deve essere rintracciato nell’attuazione normativa delle Regioni e dell’Europa (non a caso in Italia le uniche riforme attuate da una politica in piena paralisi sono le direttive che giungono da Bruxelles).
In questo modo la comunicazione diverrà una reale “risorsa delle risorse”, in cui centrale è la figura dell’ufficio stampa pubblico. Proprio su questi uffici è il caso di soffermarsi perché hanno subito nell’ultimo decennio una profonda evoluzione e talvolta un’involuzione.

Ad oggi ciò che occorre chiedersi è: “Vogliamo il loro declino o il loro rilancio?” Non se ne possiede un censimento come non se ne conoscono le condizioni operative. Spesso, inoltre, gli stessi giornalisti ignorano i colleghi degli uffici stampa, etichettandoli operatori di serie B, lacchè di partito, portaborse, comunicatori aziendali, semplici impiegati da scrivania.  Eppure proprio chi opera negli uffici stampa dovrebbe altresì avere un ruolo primario nell’informazione, essendone il primo anello, la fonte, il collante sociale con i Cittadini. Invece gli operatori degli uffici stampa non sono necessariamente giornalisti e, quando lo sono, non vengono percepiti come tali, perché – forse – non sono nella condizione di operare da giornalisti. Il giornalista, secondo la carta dei doveri, è infatti colui che diffonde contenuti di pubblico interesse, che per tale ragione si assume una responsabilità diretta verso i propri lettori e verso i cittadini in toto, facendosi garante dell’ obbligo inderogabile di rispettare la verità, e di rispondere ad essa e solo ad essa prima ancora che al proprio direttore responsabile.

Può esserlo allo stato attuale il dipendente di un ufficio stampa che, inquadrato come dipendente pubblico, è tenuto a rispettare la gerarchia della Pubblica Amministrazione da cui dipende, costretto spesso a dover difendere una precisa posizione aziendale – con la conseguente necessità di dover affrontare il problema pratico dell’opportunità di dare o meno la notizia -? E’ una riflessione da porsi.
Un cambiamento è necessario.

Occorre sfruttare le potenzialità di questa fase di trasformazione epocale dei mezzi di produzione dell’informazione
Basterebbe sfruttare gli strumenti che ci sono già: la L. 150/2000, la Legge dell’Ordine che così motiverebbe il suo senso, chiedendo una vera riforma della categoria. La legge ha già definito la strada, quelli che dovrebbero essere il ruolo o il profilo dell’ufficio stampa – tra l’altro di intesa con i sindacati confederati  -.
Alla base di questo percorso di cambiamento non possono che esserci le nuove tecnologie dell’informazione e l’avvento di Internet e delle reti telematiche: le informazioni corrono in rete, i servizi devono essere erogati attraverso la rete e quindi l’amministrazione pubblica, di fronte a questa realtà, deve attrezzarsi per rispondere in modo adeguato. D’altra parte il Piano e-Europe 2000-2002 per la società dell’informazione, proposto dalla Comunità europea, non aveva lasciato spazio agli indugi.
Nella catena del valore della comunicazione via web, intesa come produzione e offerta di servizi al cittadino, le strutture preposte alla comunicazione ”di servizio”, possono svolgere per prerogativa e vocazione istituzionale un ruolo più forte e determinante di quello finora avuto.
Occorre muoversi al più presto e senza indugi perché, nonostante gli sforzi compiuti negli ultimi anni – anche grazie alla spinta impressa dalla riforma della Funzione Pubblica – la percezione che i cittadini hanno della PA è ancora negativa, al punto che spesso la vedono come un’entità distante e ostile.

Bisogna puntare su un nuovo e più avanzato orientamento delle funzioni degli URP, uffici che il nostro ordinamento prevede quali principali strutture di facilitazione d’accesso dei cittadini ai servizi pubblici. Chi ”fa” l’URP infatti conosce l’ente e lo sa rappresentare, conosce l’utente e lo sa ascoltare, conosce la domanda di servizio e la sa monitorare e prevedere. La mission deve essere fare comunicazione, ascolto, trasparenza e innovazione, tenendo conto delle nuove forme di interazione che la diffusione delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione rende possibili anche nelle organizzazioni pubbliche. E, soprattutto, spingere le strutture della comunicazione pubblica ad essere parte attiva dell’attuazione della cittadinanza elettronica e della garanzia dei diritti d’accesso ai servizi on line.
Cosa possono fare i comunicatori delle istituzioni per ribaltare la visione dei cittadini? Votarsi ad una comunicazione chiara (l’utilizzo di un linguaggio semplice e comprensibile, evitando le iperboli del politichese ), diretta (la comunicazione deve rivolgersi ai cittadini e agli utenti che sono i fruitori dei servizi pubblici) e accessibile (vicina a chi parla e raggiungibile da chiunque abbia bisogno di informazioni). Riportare i fatti, non le opinioni, questa l’unica via se si ambisce davvero alla verità, senza puntare a pericolose spirali ideologiche. Queste, in sintesi, le principali linee guida. Una volta chiarito ciò, è necessario da parte delle istituzioni individuare: canali, mezzi di comunicazione e modi della comunicazione (nel linguaggio, nel tono e nella forma) adeguati. Inoltre occorre rivedere vicinanza e comodità degli sportelli, preparazione, professionalità, competenza del personale (eliminando i concorsi blindati e assicurando la trasparenza dei curricula), orientamento al cliente, qualità delle informazioni rese disponibili al cittadino e utilità, celerità e certezza nei tempi di risposta.
Occorre affermare la cultura del servizio. Il comunicatore pubblico deve dare risposta concreta a quelle che sono le domande del Cittadino; per far ciò è essenziale che non svolga il suo ruolo di giornalista da un piedistallo o dentro le quattro mura di un pubblico ufficio e che si garantiscano i requisiti principe della comunicazione: notiziabilità, chiarezza ed ascolto. Il web 2.0 e l’importanza del feed-back rivestono un ruolo centrale nella bidirezionalità della comunicazione.

La L. 150/2000 va rivista proprio alla luce dell’evoluzione del quadro comunicativo, che è profondamente cambiato in dieci anni. Non si contemplava, infatti, il ruolo del web, dei siti istituzionali, di molte funzioni degli urp, dei call center, dei social network, di You-Tube, delle newsletter, delle web tv e del digitale terrestre (in quest’ultimo caso emblematica è stata la mancanza di una corretta e completa informazione in occasione dello switch-off delle prime regioni).
Il comunicatore pubblico solo così potrà essere, non solo utile al Cittadino, ma di sprone anche agli stessi amministratori e al potere politico in una democrazia davvero tale. Per esserlo, è essenziale che la libertà di espressione del giornalista di ufficio stampa  sia maggiormente tutelata.

L’indipendenza del comunicatore pubblico è bene imprescindibile per la collettività. Pertanto non deve subire freni e condizionamenti dettati dalle logiche della stessa pubblica amministrazione per ragioni di subordinazione contrattuale (instabilità lavorativa di co.co.co, co.co.pro, contratti legati alla durata in carica di questa o quella parte politica), economica o di ruolo (per l’ordinamento gerarchico della pubblica amministrazione). E’ difficile in queste condizioni tenere la schiena dritta. Il giornalista per essere effettivamente tale, parlando di deontologia, deve essere veritiero e libero  di fornire al lettore un’informazione corretta e completa; dovrebbe poter essere la fonte primaria nonché il garante della verifica della correttezza dell’informazione e parte integrante del dibattito politico, così come dovrebbero esserlo i cittadini.
 

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