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DOPO 15 ANNI DALLA CONVENZIONE ONU SUI DIRITTI DELLE PERSONE CON DISABILITA’ A CHE PUNTO SIAMO?

Il 7 marzo scorso l’Italia ha celebrato il 15° anniversario dalla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

 

Indipendenza e caregiver.

Il primo articolo che suscita la nostra attenzione è il 19: diritto alla vita indipendente ed inclusione nella società.
In questo meraviglioso articolo è garantita una vita indipendente a ogni persona e il supporto alla libertà di scegliere dove e con chi vivere, garantendo ad ognuno misure efficaci e gli indispensabili supporti ( compresa la necessaria assistenza domiciliare), affinché questo diritto possa essere pienamente soddisfatto.

Questo diritto è ben lungi dal potersi ritenere soddisfatto. Guardiamoci intorno: quante persone con disabilità hanno la necessaria assistenza domiciliare? È triste da dirsi ma quella libertà di scelta è fortemente impattata da servizi di assistenza alla persona assolutamente insufficienti (ove presenti), di qualità non sempre monitorata e spesso è il caregiver familiare a farsi carico di quelle che sono le reali esigenze e a fornire i necessari sostegni alle persone non autosufficienti. Lo fa quel caregiver familiare che non ha neppure il riconoscimento come figura. Ora (dopo una condanna del Comitato ONU all’ Italia) si sta lavorando sul tema per addivenire ad una norma nazionale che riconosca diritti e tutele oggettivi e soggettivi al Caregiver Familiare ma una domanda sorge spontanea: ci saranno risorse sufficienti per garantire questi diritti? Per proseguire: di quale facoltà di scelta e vita indipendente vogliamo parlare se una volta venuto meno il sostegno familiare, si apre il grande buco nero sul domani, quel tanto blasonato “dopo di noi” che è ancor più una chimera per chi vive una condizione di disabilità in condizione di gravità ed è privo del sostegno familiare?
Dai dati ufficiali, emerge il grande dramma: attualmente sono circa 500mila le persone con disabilità grave che hanno una età compresa tra 18 e 64 anni e che quindi rappresentano la platea potenziale della legge 112/16. Di questi sono presi in carico (effettivi beneficiari) circa 8300 persone. Queste 8300 persone sono nell’84% dei casi nella fase del durante noi, con pochissime strutture alloggiative concentrate in tre-quattro regioni del nord Italia. E gli altri? Dove sono? Da chi sono assistiti? Hanno scelto tutti un percorso di istituzionalizzazione? Quanto ha inciso la loro libera scelta nella condizione di vita che si sono trovate ad affrontare? In alcune realtà italiane non è neppure possibile presentare la domanda a valere sui fondi della 112. Non lo dimentichiamo.

 

Diritto alla mobilità

Sempre leggendo il meraviglioso testo della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, arriviamo all’ art. 20, dove sono previste misure efficaci a garantire alle persone con disabilità la mobilità personale con la maggiore autonomia possibile. Sulle barriere architettoniche potremmo scrivere un libro ma sarebbe veramente troppo lungo e scontato, oltre che triste. Passiamo allora a considerare un aspetto: può riconoscersi  diritto all’autonoma mobilità quello che vede una immensa differenziazione, a livello locale, nel riconoscimento del CUDE e dello stallo personalizzato a quelle persone che, pur non presentando problemi prettamente motori o che non presentino cecità, si trovano a non avere alcuna autonomia nel loro rapporto con la mobilità e la strada e che quindi hanno necessità di dover essere permanentemente assistite per compiere ogni atto della vita quotidiana? Abbiamo una nota del Ministero dei Trasporti, n 1467/16, per quanto riguarda la concessione del Cude, ma non è assolutamente sufficiente a fugare i dubbi interpretativi. E’ giunto il momento di riconoscere efficacemente la non autonoma mobilità al pari della non autonoma deambulazione?

 

Inclusione scolastica

Potremmo parlare dell’ art. 24 della convenzione, l’inclusione scolastica, ci siamo occupati spesso del tema ma, malgrado sulla carta tanti diritti per una piena inclusione scolastica siano codificati, siamo ben lungi dal riconoscere ai nostri ragazzi i mezzi e gli strumenti necessari per una piena inclusione in quell’ unico ambito di socialità alla pari che è la scuola. In troppe realtà siamo ancora veramente lontani dal mettere in atto quel necessario patto scuola famiglia. Siamo lontani dal vedere quella piena corresponsabilità dell’intero corpo docente. Siamo lontani da una vera programmazione personalizzata con il beneficio dei necessari mezzi e strumenti (e basti vedere quanti ragazzi certificati raggiungono percentualmente il diploma). Siamo lontani dal riconoscere la persona come parte di un progetto ma siamo “troppo vicini al concetto di necessaria copertura delle ore”. Siamo lontani dal far entrare la scuola a pieno titolo in quel progetto di vita … potremmo proseguire a lungo…

 

Salute, abilitazione e riabilitazione

Non possiamo omettere di guardare agli articoli 25 e 26 (diritto alla salute e all’abilitazione e riabilitazione). Che cosa dire su questo? Meglio forse tacere: chiediamo a ognuno: quali sono i tempi per la presa in carico, quali sono e come sono efficienti i servizi sanitari di prossimità, quanto si lavori sulla prevenzione? Leggiamo della necessità di garantire servizi e programmi complessivi per l’abilitazione e la riabilitazione, in particolare nei settori della sanità, dell’occupazione, dell’istruzione e dei servizi sociali. Eppure basta chiedere, ad esempio, a ogni genitore di un minore con disabilità quale percorso ha trovato aperto davanti a sé quando è uscito da quella struttura sanitaria con una certificazione in mano, chi lo ha supportato nella costruzione di quel cammino verso una vita nuova che da quel giorno si è trovato a vivere. Non ce lo nascondiamo: in quel momento inizia un percorso ad ostacoli e spesso la solitudine è il nostro compagno. Ci si deve rimboccare le maniche e cercare autonomamente quelle risposte che non arrivano automaticamente.

Potremmo proseguire per una infinita carrellata ma basti  dire che il nostro auspicio sincero è che possa cambiare l’approccio culturale verso la disabilità, che si inizi a focalizzare davvero l’attenzione sulla persona e sui suoi bisogni, che si inizi a guardare concretamente a quel globale progetto di vita ed alla necessaria integrazione socio sanitaria, con la definizione di un vero budget di salute, che si inizi insomma a mettere al centro la persona più che tanti spezzettati proclami.

Paolo Colombo, Avvocato, Garante dei diversamente abili

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