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ABUSO D’UFFICIO DOPO L?ABROGAZIONE: UNA QUESTIONE DA RISOLVERE BENE

La mera abrogazione dell’abuso d’ufficio: un passo indietro per la giustizia e la trasparenza?

L’abrogazione del reato di abuso d’ufficio rappresenta una delle più discusse iniziative legislative degli ultimi anni. La decisione del legislatore di eliminare questa fattispecie penale solleva interrogativi profondi sulla direzione che il nostro ordinamento giuridico sta prendendo in termini di trasparenza, responsabilità e tutela dell’interesse pubblico e non può che suscitare un acceso dibattito tra giuristi, magistrati, amministratori e Cittadini tutti.

 

Il reato e il suo ruolo

L’abuso d’ufficio, precedentemente previsto dall’art. 323 del codice penale, sanzionava i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio che, violando norme di legge, procuravano intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale a sé o ad altri, o arrecavano un danno ingiusto. Questo reato, pur con limiti e difficoltà applicative, aveva una funzione cruciale: tutelare l’imparzialità e la correttezza della pubblica amministrazione, garantendo che il potere pubblico fosse esercitato nell’interesse collettivo e non per fini personali o di parte.

 

L’abrogazione

Con il voto degli emendamenti all’art. 1 del “ddl Nordio” (legge 9 agosto 2024, n. 114), concluso in Senato il 10 gennaio 2024, è arrivato il via libera all’abrogazione del reato di abuso d’ufficio.
Nel complesso dei reati contro la P.A., l’abuso d’ufficio è stato il più riformato, identificato come reato residuale ossia applicato quando non si trovava o non si riusciva a provare corrispondenza con altre fattispecie.
Ciò si riflette nelle motivazioni addotte dal legislatore per giustificare l’abrogazione:
?1.?La difficoltà di applicazione concreta della norma, spesso accusata di vaghezza e incertezza interpretativa.
?2.?La presunta “paura della firma” che questa incriminazione avrebbe generato tra i funzionari pubblici, dissuadendoli dall’assumere decisioni per timore di conseguenze penali.
Queste ragioni sono senz’altro teoricamente legittime e comprensibili, eppure sollevano perplessità sulla decisione di eliminare del tutto il reato e non di essere più chiari nella formulazione e di tutelare sempre che fa il proprio dovere.
Era proprio davvero opportuno migliorare la formulazione della norma per renderla più chiara, efficace e applicabile. Invece si è scelta la via dell’abrogazione, una scelta rozza in un momento delicato che rischia di indebolire il controllo sull’esercizio del potere pubblico e di dare spazio a operazioni di pessima amministrazione.
In effetti sono state introdotte talune nuove fattispecie di reato per colmare talune lacune normative derivanti dall’abrogazione dell’abuso d’ufficio. Ad esempio, è stato introdotto l’articolo 314-bis del Codice Penale, che punisce l’indebita destinazione di denaro o cose mobili. Inoltre, la riformulazione del reato di traffico di influenze illecite mira a rafforzare la lotta contro la corruzione. Ma sono fattispecie molto specifiche e resta un’ampia area di comportamenti meritevoli di sanzione penale.

 

Le conseguenze dell’abrogazione

L’abrogazione dell’abuso d’ufficio ha suscitato e suscita dibattiti e preoccupazioni riguardo alla tutela dell’integrità della Pubblica Amministrazione e alla prevenzione della corruzione. Alcuni tribunali hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale, evidenziando possibili contrasti con obblighi internazionali assunti dall’Italia nella lotta alla corruzione.
Si deve certamente scongiurare un vuoto normativo o il rischio che condotte non rientranti in altre fattispecie penali rimangano impunite. Con l’impunità si lasciando spazio a comportamenti arbitrari e non trasparenti e a loro calcolato sviluppo. Il risultato che si profila dalla semplice abrogazione è una riduzione della tutela dei Cittadini contro decisioni amministrative non solo ingiuste e lesive ma esercitato per ignominiose finalità “particulari”.

 

Occorrono sviluppi del quadro normativo per la lotta all’illegalità

In un momento storico in cui la trasparenza e la responsabilità devono essere pilastri irrinunciabili, il legislatore non può abbassare la guardia, lasciando aree opache difficilmente perseguibili.
Non si può peraltro trascurare il fatto che il problema della “paura della firma” risieda più nell’inefficienza amministrativa e nella mancanza di formazione giuridica dei funzionari che nel timore del reato. Una riforma seria e auspicabile deve investire nella semplificazione normativa e nella formazione senza arretrare rispetto alla sfida alla cattiva amministrazione.
Sono in corso riflessioni e Civicrazia stimola ulteriori sviluppi legislativi e celeri definizioni di un quadro giurisprudenziale chiaro.

Antonella Mollia, Segretario Generale di Comune

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