Quanto spendiamo ogni anno per il nostro Servizio Sanitario Nazionale???
A leggere il numero ci sembra una cifra considerevole.
Per il solo 2017 sono stati stanziati 111,752 miliardi di euro.
Ci può sembrare tanto, ma analizzando meglio i dati di trend dal 2010 ad oggi, come riportato dalla Corte dei Conti, ci accorgiamo che abbiamo sofferto di tagli continui per un ammontare pari a 25 miliardi di euro.
25 miliardi in un arco di tempo in cui, viceversa la popolazione italiana è invecchiata, e nuovi bisogni sanitari si sono rapidamente diffusi.
Bisogni legati all’incremento di incidenza di patologie complesse ed onerose, come il cancro o l’alzheimer, malattie tipicamente legate all’invecchiamento.
E’ evidente che ciò che è stato tolto al cittadino in termini di assistenza gratuita, essendo un bene primario per i malati. È stato sostituito con la spesa privata.
Essa negli stessi 8 anni considerati dalla Corte dei Conti, è cresciuta di almeno 10 miliardi.
Facendo una semplice sottrazione tra “spese”, dovremmo giungere alla conclusione che una parte importante di cittadini ha di fatto rinunziato a curarsi tempestivamente per le proprie malattie.
Effettivamente è andata così, forse non con una proporzione così precisa.
Un altro dato molto sconfortante l’OMS è che per noi italiani, il rapporto finanziamento SSN rispetto al PIL, andrà nel 2019 sotto la soglia del 6,5%; un livello minimo che ci porterà verso la coda della classifica tra i paesi industrializzati.
Molti stakeholders invocano da tempo una inversione di rotta, ed anche l’attuale Ministro ha promesso di trovare un modo, e risorse, per aumentare nei prossimi 5 anni il Fondo Sanitario.
Quest’azione però, per quanto meritoria, se non accompagnata con una radicale rivisitazione di tutto il nostro modello assistenziale, sarà solo un “pannicello caldo” che allevia il dolore, ma non lo elimina.
Il ns SSN è sostanzialmente una replicazione di stesse funzioni e comportamenti a livelli diversi, ed anche, dentro i percorsi assistenziali cronici e/o emergenziali, un intreccio distorto di competenze e professionalità, che generano spreco di risorse da “conflitto di interessi”, tra professionisti solo apparentemente operanti per raggiungere lo stesso obiettivo.
Un caso di scuola è rappresentato dal modello assistenziale, di recente acquisizione, legato alla gestione dei pazienti oncologici per le cosiddette “cure palliative”.
Con la legge 38 del 2010, il legislatore ha definito la modalità con cui il SSN prende in carico il paziente oncologico in condizione di terminalità, che non si significa morte imminente.
Da una parte c’è l’opzione Hospice, struttura altamente specialistica dedicata ad una presa in carico globale h/24, dove il paziente ha una stanza singola dotata di tutti i confort ed un angolo cottura, oltre a spazi adeguati per ricevere la compagnia anche notturna dei suoi cari.
Dall’altra l’assistenza domiciliare, dove un equipe costituita da operatore sanitario e medici organizzano visite al domicilio del paziente cicliche, ed al bisogno.
In Hospice, sempre per legge, dovrebbe essere preso in carico un malato con almeno 30 giorni di aspettativa di vita e massimo sei mesi.
Fuori da questa finestra temporale, ogni ricovero sarebbe inappropriato.
Possiamo sintetizzare il dualismo di scelta, essenzialmente da un punto di vista 2sociale” della gestione della criticità.
Verosimilmente la scelta Hospice dovrebbe competere a chi, per diverse ragioni, non ha la capacità di sostenere il carico di lavoro fisico ed emotivo legato al concludere la propria vita tra le mura domestiche.
Da noi, in Campania per esempio, accade che invece la decisione sull’attribuire un’appropriatezza di scelta tra una opzione e l’altra dipenda, inderogabilmente, dallo stesso medico che responsabile dell’attività domiciliare, che pur dipendente del SSN, riceve una retribuzione compensativa extra per numero di pazienti che segue e numero di visite domiciliari che effettua.
E tutto ciò comporta spreco di risorse e sconfitta per la comunità, a cui si negano diritti e si depauperano le risorse.
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