Set 18, 2010 | Notizie | 0 commenti

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DANNI IRRISARCIBILI

malasanitàIl calvario della signora Schumacher

Sono numerosi i casi di malasanità. Spesso sono sottovalutati dai media e dal potere politico. A chi ha subito un’ingiustizia, talvolta, non resta che rassegnarsi ai fatti.
Civicrazia, in qualità di difensore unico nazionale, appoggia ogni cittadino che ritiene di continuare a combattere per far sentire la propria voce, far valere i propri diritti e affermare la verità.
Abbiamo intervistato a tal proposito una diretta interessata: la signora Ivana Schumacher.

 

Signora Schumacher, il suo  caso è l’emblema di una connivenza fra malasanità e malagiustizia.  Quando ha inizio il calvario?

Il mio calvario inizia nel mese di aprile 1987, quando venni ricoverata per una ciste all’utero all’Ospedale Universitario di Losanna, su consiglio di un medico di fiducia.

 

Cosa successe esattamente?

La sera prima dell’intervento, il 6 aprile, un’infermiera mi disse che dovevo sottopormi ad una trasfusione di sangue e, ad un mio rifiuto, aggiunse che era un ordine del medico.  Dopo la trasfusione,  ho avuto un’eruzione cutanea e forti dolori all’addome, e… un particolare: l’anestesista ha letteralmente “spremuto” la flebo perché il sangue entrasse in circolo più velocemente. La notte è stata terribile,  vomitavo, nonostante i calmanti che mi somministravano; i dolori si sono attenuati verso le tre del mattino e verso le sette è stata preparata la camera operatoria.

 

Quindi l’intervento è stato effettuato egualmente la mattina del 7 aprile?

Sì, in anestesia totale.

E che esito ha avuto l’operazione?

L’intervento sembrava fosse andato bene, anche se successivamente ho accusato un lancinante mal di reni, attribuibile, secondo il medico, alla fase post-operatoria. Mi sentivo anche affaticata, sempre più debole, e cinque settimane dopo, durante la visita di controllo, mi hanno diagnosticato un’altra ciste grande come un’arancia, nell’ovaia sinistra.

E’ possibile che dopo cinque settimane da un intervento all’utero si possa formare una ciste di quelle dimensioni in un’ovaia?

Probabilmente  non era stata rilevata nei controlli precedenti.

A quel punto Le hanno detto di sottoporsi ad una seconda operazione?

No. All’inizio volevano semplicemente aspirare la ciste per evitarla, una seconda operazione così a distanza ravvicinata dalla prima, ma alla fine hanno deciso di intervenire. Questo è accaduto i primi di maggio dell’’87.

Quali sono stati gli effetti di questo secondo intervento?

Durante l’ospedalizzazione ho avuto la febbre e i medici, che continuamente, mi prelevavano il sangue per le analisi, li vedevo a disagio. Poi sono tornata a casa, ma spossatezza e dolori muscolari perduravano. Sei volte nell’’87 sono tornata all’ospedale, nessuno però riusciva a trovare una spiegazione, ma soprattutto una soluzione, al mio stato.

E allora Lei che cosa ha fatto?

Mi sono rivolta altrove; al Dr, A.P., ma anche lui, non è venuto a capo del problema. La mia spossatezza, ormai invalidante, non migliorava, finchè, nel ‘92 una Dott.ssa, V.V., mi dice che il mio fegato è malato. Tornata allora dal medico A.P., che mi aveva in cura, arriva la diagnosi: epatite B.

Ci sono voluti cinque anni per capire che Lei aveva contratto l’epatite B?

Sì. E purtroppo ce ne sono voluti dieci per dimostrare che l’avevo contratta con una trasfusione.

Quando ha saputo che aveva l’epatite B, come ha pensato di procedere?

Ho chiesto al mio medico curante la cartella clinica completa di biopsia post-trasfusione ed ho consultato un avvocato, L.B, che si è messo subito in contatto con il medico. Tra il mio Avvocato ed il Medico Ospedaliero ci sono state lettere, telefonate, incontri, dei quali nessuno mi ha mai informato.

Questi incontri non miravano dunque a risolvere la Sua situazione?

Assolutamente no. Miravano anzi a coprire quello che mi era successo ed intanto il tempo passava ed io ne perdevo di prezioso.
Arriviamo al ’95  e mi rivolgo ad un altro avvocato, L., che scrive all’Ospedale di Losanna per far luce sul mio caso e sul probabile contagio avvenuto in seguito alla trasfusione.  Ma l ’Ospedale risponde che il donatore era negativo all’epatite B.
O almeno lo era il primo donatore. L’Avv.  L., suggerisce allora una causa di fronte alla Cassazione.

 
Il primo donatore? Quindi Lei avrebbe avuto due trasfusioni?

Così pare. Prima che iniziasse la causa l’Assicurazione dell’Ospedale ha fatto sapere al mio Avvocato che durante il primo intervento,  mi era stata fatta una seconda trasfusione,  durata quaranta minuti: questo era sangue infetto. L’Ospedale, però, non ha rilasciato alcun documento.

Che sia stata la prima o la seconda trasfusione a contagiarLa, la responsabilità della struttura ospedaliera rimane… 

E rimane anche la volontà di nascondere i fatti.

Fatti  comunque che si saranno rilevati dal processo, no?

No. Purtroppo non sono emersi..

Perché? Cos’è accaduto?

Io ero sfinita ed anche preoccupata, e non solo per la mia salute…

Che cosa La preoccupava in particolare?

Avevo paura che scadessero i termini legali e si andasse in prescrizione. Lo dissi anche al mio Avvocato, di non dimenticarsi dei termini; era il febbraio del ’96.

La sua paura era fondata?

Purtroppo sì.  Da febbraio a giugno 96 ci fu il processo. A marzo del ’98, all’udienza, i giudici sostennero che non si poteva procedere oltre perché si era andati in prescrizione.

A quel punto cosa ha deciso di fare?

Nel ’99 ho cercato altri avvocati che si interessassero al mio caso, finchè mi sono rivolta al Consolato Italiano, dove ho conosciuto la Dott.ssa D.V, che mi ha presentato un avvocato di fiducia, S.F. per intentare una causa, stavolta, contro il primo avvocato, L.B. Il Console R.C ha seguito la mia pratica rassicurandomi, ma dopo mesi  di silenzio, sono andata alla Farnesina, ed anche qui sono stata rincuorata circa il buon esito della mia vicenda.  Nel 2005 però, le cose non volgevano a mio favore, così ho pregato l’Avvocato S.F. di fare ricorso, ma quest’ultimo si è rifiutato di procedere oltre.
La giustizia si è fermata ma io no, io voglio andare avanti. Mi hanno contagiato con una malattia che mi fa essere sempre più debole, ma sono immune alla malattia della rassegnazione, perché ho una forza in me grandissima.

Mentre negli anni combatteva tutte queste inani battaglie legali, ha vinto almeno in parte quella contro il Suo male?

No. Dopo che ho lasciato il Dott. A.P., ho cominciato una cura  a mie spese, cura  costosa e dolorosissima che mi ha procurato febbre e terribili dolori muscolari. Facevo tre iniezioni la settimana e già dopo due non riuscivo più a leggere. Contattando in seguito un oftalmologo, ho scoperto di aver rischiato la cecità e che comunque il farmaco mi aveva provocato una retinopatia.

Ma qualche risvolto in positivo?

No. Mi ha dato solo qualche beneficio. Ora voglio guardare a nuove cure, guardare avanti, come per la giustizia, così per la mia salute.

Lei è stata vittima due volte. Ha contratto l’epatite B e nessuno ha pagato per questo.

Sì, ho pagato solo io. E non solo in termini di salute.

Oltre il danno anche la beffa…..

Sì.  La beffa è che la seconda causa, quella contro L.B., l’avvocato connivente, mi è costata ben 22000 franchi; per un periodo, ogni mese, ho versato 100 franchi finchè mi sono rifiutata di continuare a pagare, così, nel mese di giugno 2010, mi è stato chiesto di saldare il residuo: 18000 franchi. Allora mi sono rivolta alla Farnesina per i diritti di protezione…..

E cosa ha ottenuto?

La Farnesina ha scritto al Console R.C. che a sua volta ha scritto all’Ufficio preposto al pagamento delle spese processuali. Quello che ho ottenuto è di pagare  25 franchi mensili, anziché 100, fino all’estinzione del debito. Ultimamente mi sono rivolta all’Avv. S. F, mio legale nel secondo processo, il quale mi ha detto che né dall’Ospedale, né dal primo Avvocato, otterrò mai un risarcimento.

La struttura ospedaliera in cui Lei ha contratto l’epatite B, oltre ad aver ammesso dopo dieci anni le sue responsabilità, Le ha mai dimostrato in questo lungo lasso di tempo un minimo di comprensione?

Mai. Nel 2004 mi sono recata lì per discutere le mie ragioni, me lo ricordo come fosse ieri. Il Legale della Struttura Ospedaliera  è entrato nella sala d’attesa e mi ha intimato di andarmene. Ad un mio diniego, due agenti di sicurezza mi hanno fatto alzare con la forza, strattonandomi. Una donna come me, nelle condizioni di salute in cui verso….una donna rovinata, a soli 38 anni.

Una donna lasciata sola a combattere le sue battaglie. Qual è  il Suo rapporto con le Istituzioni?

Il primo processo è stato iniziato e terminato rapidamente. Nel secondo, l’Avvocato si è rifiutato di andare in Cassazione. Il mio rapporto con le Istituzioni? Non credo più nelle Istituzioni, ma voglio con tutte le forze che mi restano, tornare a crederci.

Lei ha dimostrato e continua a dimostrare una forza fuori dal comune. Quali sono le Sue aspettative per il futuro?

Mi aspetto giustizia per quello che mi è capitato, quindi vorrei che mi risarcissero e non che debba essere io a pagare per i danni subiti.  Ma soprattutto vorrei che la mia storia non rimanesse chiusa in un libro nero, ma fosse letta da tutti, perché altri possano imparare la morale di una favola che non c’è stata e scrivere un lieto fine alle loro storie.

Per questo si è rivolta a Civicrazia?

Sì. Perché già nella parola Civicrazia è scritto il suo destino, anzi, quello degli altri: potere ai cittadini, dare voce a chi non ne ha. Vorrei tanto che la mia storia fosse gridata a squarciagola.

Contro tutti i cantastorie, sarà gridata, la Sua storia, a squarciagola. Perchè Civicrazia vuole squarciare il buio e soprattutto il silenzio e far condividere uno spartito fatto, finalmente, di “note” positive. E Lei è una di queste note, signora Schumacher.
“Qualcuno gridò, sui tetti del mondo…..yahoop!” E qualcun altro lo scrisse, sui muri del mondo, per farlo gridare agli altri.
E allora…..cominciamo a scrivere.

(Intervista realizzata da Francesca Toncli)

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