Ci sono parole, provenienti dall’estero, che tradotte nella nostra
lingua ingannano e tradiscono. Caregiver è un termine di questo tipo.
La traduzione è: “la persona che si prende cura” riferendosi ad
un familiare che si prende cura di un congiunto. Ma la parola è poco
definita e direi vaga; non chiarisce il reale impegno dedicato a
“prendersi cura”.
Può essere un tempo minimo, oppure un tempo continuo, costante
per ogni ora del giorno, tutti i giorni.
Il fatto discriminante e assurdo è che in Italia il termine “caregiver” riconosce opportunità anche economiche alle persone che hanno anche un altro lavoro retribuito, e che quindi possono dedicare un tempo molto limitato al familiare che ha bisogno di assistenza ma non a chi si dedica a tempo pieno, anzi screditata come se non lavorasse.
Per il caregiver part-time esiste giustamente la possibilità di avere:
– permessi retribuiti dal lavoro
– pensione anticipata
– assegno di sostegno
Noi non contestiamo tali riconoscimenti e anzi vanno rafforzati.
Ma guardiamo la realtà: chi sono le persone che si occupano a
tempo pieno del familiare non autosufficiente o che comunque, oggi, ha davvero bisogno di assistenza? Sono oggi le casalinghe!
Lo comprovano studi ed indagini degli Istituti di ricerca più accreditati.
Sono le donne che si dedicano a tempo pieno alla famiglia, talora per scelta e talora per necessità inderogabile, che svolgono compiutamente il ruolo di “Caregiver”, ma a tali donne (e spesso oggi anche a uomini perché ovviamente riguarda anche loro), per il loro lavoro, non si riconosce niente!
Su questa assurdità e grave discriminazione, tutte le Organizzazioni di Civicrazia intervengono per ottenere il riconoscimento pieno, anche economico, alle “Caregiver priority” ossia alle Family Managers.
di Dominique Testa, Presidente Regionale Obiettivo Famiglia Federcasalinghe
(articolo da editoriale di Presidente Nazionale Obiettivo Famiglia Federcasalinghe: Federica Rossi Gasparrini)
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