Apr 27, 2010 | Notizie | 0 commenti

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L’INFORMAZIONE IN ITALIA È DAVVERO CHIARA E INDIPENDENTE?

In seguito alla partecipazione del nostro ufficio stampa agli Stati generali dell’informazione degli uffici stampa del 29 gennaio scorso, come civicratici ci siamo posti una riflessione sull’indipendenza del giornalismo dal potere politico e sul linguaggio che un buon comunicatore deve utilizzare.
Abbiamo affrontato la questione con il vice-presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio e presidente nazionale del Gus (Gruppo giornalisti uffici stampa), il Dott. Gino Falleri, che ha gentilmente concesso un’intervista al nostro giornalista Antonio Visicchio.

Ecco cosa gli abbiamo chiesto:


Dott. Falleri, alla luce del fallimento della legge 150/2000 a quasi 10 anni dalla sua emanazione, quali sono secondo Lei i correttivi da apportare nell’immediato per rilanciare realmente e obbligatoriamente il ruolo dell’Ufficio stampa nella P.A.?

Alla vigilia della sua approvazione tra i giornalisti c’erano molte aspettative e speranze, che dopo pochi mesi sono svanite come la nebbia ai primi raggi del sole. Le ragioni non sono poche a cominciare dall’aver conferito alla Pubblica amministrazione la potestà di istituire o no gli uffici stampa come di avvalersi o no del portavoce. Il legislatore non dovrebbe concedere spazi di discrezionalità. Questo è il primo elemento negativo della legge sulla Disciplina delle attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni. Il secondo è costituito dalle problematiche relative alla formazione e alla dovuta iscrizione all’ordine per i componenti degli uffici stampa.
Se si deve dare un peso a quanto ha voluto di recente scrivere il Gabinetto del Ministero dei Beni Culturali, in risposta ad una lettera dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio, si potrebbe asserire che nel nostro Paese l’Esecutivo non tiene nella dovuta considerazione quanto impone il legislatore. Anche perché se esistono sanzioni queste sono somministrate con il bilancino.
La proposta di regolamentare l’attività degli uffici stampa presenti o da istituire nella Pubblica amministrazione parte da molto lontano. Dallo stesso momento in cui i poteri “ costituzionali “ sono stati affidati dagli Alleati ai nostri governanti e siamo a gennaio del 1946. I giornalisti,  già durante il Regno del Sud, avevano affermato a più riprese che l’informazione in un paese democratico e pluralista era un bene inalienabile e ritenevano che la Pubblica amministrazione non dovesse più essere una specie di fortezza dove tutto doveva restare segreto. Di qui l’impegno per far sì che attraverso i messaggi si aprisse ai cittadini, non più sudditi.
La Pubblica amministrazione dopo 64 anni è cambiata? La risposta, a parte il decennio aureo rappresentato dagli anni Novanta, non può essere positiva poiché manca ancora una cultura del servizio e l’orgoglio di esserne protagonisti. Sono i cittadini al centro dell’azione della Pubblica amministrazione ed il principio gerarchico ne è l’elemento negativo. Nello stesso tempo, per una serie di ragioni, non si ha una appropriata cognizione dell’influenza che ha l’informazione e deve essere intesa in maniera diversa dalla comunicazione. La soluzione? Ci vorrebbe un cambio di mentalità e inoltre stabilire che il giornalista delle cosiddette istituzioni rientra a pieno titolo tra le professionalità che si avvale l’apparato pubblico e se ne stabiliscono i requisiti per accedervi. Non elementi esterni, ma già presenti nei quadri che assicurano una più che sufficiente conoscenza dell’apparato. In buona sostanza applicare senza riserve il disposto del secondo comma dell’articolo 9.

Spesso si lamenta la scarsa indipendenza del giornalista dell’Ufficio stampa dal potere politico. Come si può ovviare e quali sono i reali poteri di intervento dell’Odg?

Avrei una idea diversa. Il giornalista, sia iscritto nell’elenco professionisti o in quello dei pubblicisti, risponde innanzitutto all’articolo 2 della legge sull’Ordinamento della professione, che è stata approvata nel febbraio del 1963. Ha l’obbligo di riferire la verità. Un precetto che ritroviamo nella Carta dei doveri del luglio 1993. E’ il responsabile della corretta informazione e una siffatta responsabilità non è subordinata agli interessi dell’editore, del governo e dei terzi e la Carta deve essere osservata anche dall’addetto stampa. Il cittadino deve essere correttamente informato, anche se talvolta ci si interroga se  sia sempre così.
C’è da ricordare che l’addetto stampa è una fonte primaria ed in secondo luogo occorre anche fare qualche distinguo. Il non indipendente, e non in senso assoluto, è il portavoce, che, oltre a non aver l’obbligo di essere iscritto all’albo, è il fiduciario  dell’autorità di vertice. L’addetto stampa essendo una fonte è meno soggetto a possibili condizionamenti, ma questi non possono essere esclusi a priori. Qualche anomalia potrebbe verificarsi nelle istituzioni elettive, quelle che rispecchiano gli schieramenti parlamentari e dove la politica ha il suo peso,  non negli enti pubblici a dimensione nazionale che hanno il compito di applicare e realizzare quanto ha disposto il legislatore.
Comunque tutto è possibile. Per completare il concetto non si può omettere di ricordare che esistono giornali di informazione e di opinione e quest’ultimi forniscono le loro versioni.
L’Ordine professionale cosa fa nell’ipotesi di scarsa indipendenza? E’ senz’altro una bella domanda da calare su quelle che sono le competenze che il legislatore ha attribuito all’ente pubblico. La giustizia intra moenia non mi affascina come le non istruttorie, la valutazione dei fatti e situazioni senza effettuare i dovuti controlli e riscontri, nonché uscire dalle competenze che il legislatore ha stabilito. La terzietà è del giudice ordinario.
Se viene segnalato o rilevato qualche caso che entra in rotta di collisione con la deontologia, l’Ordine interviene. Roma e Milano non si sono mai tirati indietro ed hanno sanzionato chi ha violato le varie carte dei doveri. Non ha un potere di controllo e di intervento su quanto viene detto o scritto. Lo può, legge alla mano, direttamente o su segnalzione se ci sono macroscopiche inesattezze. In caso contrario potrebbe essere accusato di attentato alla libertà di espressione, che come si sa è garantita dall’articolo 21 della Costituzione, nonché dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

La subordinazione al potere politico, spesso porta alla mortificazione e allo svilimento del ruolo del giornalista all’interno della P.A. che è costretto suo malgrado ad utilizzare lo stesso linguaggio artefatto dei politici. Come si può scongiurare a tale deriva e a quali obiettivi un buon comunicatore deve rifarsi?

Nel nostro Paese la “ politica “ ha occupato quasi tutti gli spazi e la meritocrazia, con il passare del tempo, sta diventando una utopia. Se non altro anche a causa dello spoil system ogni qualvolta ci sia un cambio di maggioranza nelle istituzioni elettive. Così nei posti chiave  vengono chiamati con frequenza coloro che possono essere considerati più vicini allo schieramento vincente. Tuttavia non sempre i cambi arricchiscono. Questo stato di cose può portare ad un appiattimento ed a ritenere che il giornalista delle istituzioni sia subordinato al potere politico.
Invece l’addetto stampa è un garante. I suoi punti di riferimento sono innanzitutto la sua professionalità, le Carte dei doveri e da ultimo il Codice del giornalista delle istituzioni da poco approvato. Se viola queste regole, irrinunciabili per una corretta informazione, si pone fuori del sistema e di conseguenza dovrebbe rispondere della sua condotta al giudice disciplinare ovvero al Consiglio dell’ordine di appartenenza. L’uso del condizionale è d’obbligo.
Il linguaggio è importante nel non facile mestiere dell’addetto stampa. Secondo le collaudate regole nelle prime righe di un qualsiasi comunicato ci dovrebbe essere la notizia ed il testo deve essere redatto in maniera chiara, di facile comprensione ed a valenza collettiva. Deve interessare la collettività, scevro da contenuti promozionali o  di propaganda. Niente uso del linguaggio burocratico di non facile comprensione o quello politico a triplice interpretazione. Una delle Carte dei doveri, la prima, riguarda appunto l’informazione e la pubblicità. Tutte le iniziative che il Gruppo Giornalisti Uffici Stampa ha intrapreso dal Congresso di Salerno, siamo ad ottobre del 1970, fino ad arrivare alla legge 150 hanno sempre ruotato sulla valenza collettiva e sulla trasparenza dell’attività dei soggetti pubblici.

 

Cosa auspica nell’immediato futuro degli Uffici stampa e come questi ultimi possono rilanciare la figura del cittadino ponendosi da tramite col potere costituito per giungere così a politiche condivise?

La Pubblica amministrazione è lo strumento attraverso il quale il legislatore realizza le sue finalità, che altro non sono che fornire servizi e favorire il benessere dei cittadini. La 150 all’articolo 1 ha fissato quali sono gli obiettivi da perseguire e non mi sembra che nell’Unione europea sia stata approvata una legge più avanzata della nostra. Anche se, come ha sottolineato Sergio Talamo, un autorevole docente, è difficile uscire dalla logica dei comunicati e degli sportelli ed arrivare a quella del servizio. Al cittadino cliente.
L’auspicio è uno solo. E’ stato ampiamente sottolineato in occasione del recente convegno sulla “Solitudine degli uffici stampa”, organizzato dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e dalla Federazione nazionale della stampa. La 150 deve trovare pratica attuazione. Ed è sintomatico il ritardo decennale per stabilire il profilo del giornalista delle istituzioni e la sua regolamentazione.
Non interessa soltanto i comunicatori ed i giornalisti, che ne sono i soggetti propulsori, ma il cittadino titolare della sovranità in prima battuta, poiché chiede risposte concrete alla sua crescente domanda di informazione, ed interessa la stessa Pubblica amministrazione. Attraverso di essa dovrebbe essere consapevole di assolvere una “mission”, come si usa dire ora, e nel suo interno non mancano le dovute professionalità.

Civicrazia è sinonimo di “Svolta” e di rilancio: come il giornalista della P.A. può trasmettere questo positivo messaggio nel cittadino che oggi sembra più che mai assorto e distante dai luoghi della politica?

Senza dubbio Civicrazia significa svolta, cambiamento. I suoi appelli e messaggi incominciano a trovare le giuste sponde. Da noi il tempo delle riforme per quanto auspicato non è ancora arrivato ed una di queste, non più procrastinabile, riguarda proprio  la  Pubblica  amministrazione.  I nostri  cugini  francesi  hanno  l’Ena, il “tempio” dove si sono diplomati i più prestigiosi uomini politici che hanno calcato la scena nazionale ed internazionale. Per far arrivare i messaggi, e questi abbiano i risultati prefissi, necessita una dirigenza pubblica di alto livello ed una classe di giornalisti di eccellente formazione assicurata dall’Università o dai Master,  organizzati da soggetti a loro volta di alto profilo. Se esistono le dovute basi culturali e professionali, i programmi o gli obiettivi possono essere realizzati o centrati. Si  può  così  coinvolgere  il  cittadino  e farlo partecipare e ricondurre la “politica” nei suoi giusti ambiti e competenze.

 

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