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LA MERITOCRAZIA CHE VOGLIAMO PER I GIOVANI

Versi 112-120, Canto XXVI, Inferno.
Dante Alighieri narra di Ulisse nella Divina Commedia come di un prode paladino che sprona la sua ciurma a superare le Colonne d’Ercole e navigare lì dove c’è solo l’ignoto. Questo canto, noto come il Canto di Ulisse, ha una doppia valenza. Ulisse è innestato da Dante nel girone dei consiglieri fraudolenti, dove possiamo riconoscere politici e figure di alto rango che utilizzarono il loro ingegno per ingannare. Allo stesso tempo questa figura famosa della nostra letteratura rappresenta esattamente l’opposto di quanto potrebbe apparire ad un osservatore superficiale.
«”O frati,” dissi, “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia

de’ nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”.»
L’analisi di questi versi ci proietta verso una visione  dello spirito turbolento e in contrasto con se stesso peculiare dei giovani. I nostri ragazzi non sono dei novellini, come molti possono pensare, nell’incontrare difficoltà. Gli anni da loro vissuti, sebbene di numero inferiore rispetto ai nostri, sono colmi di nuove sfide. Calibrate per la loro età, le esperienze dei giovani hanno un peso enorme su quelle che possono essere le loro scelte per il futuro. Guardandosi intorno, sono come delle spugne che assorbono completamente le informazioni e le impressioni del mondo che li circonda. Spesso siamo noi i protagonisti di questo mondo. La realtà che viviamo è piena di insidie e purtroppo frustrazioni. Non molti di loro sono spronati a rischiare, ad andare verso l’ignoto e oltrepassare quelle Colonne d’Ercole che li separano dalla loro realizzazione personale.
E’ infatti vero che la paura regna sovrana nei cuori di questi ragazzi. Chi mai affronterebbe un viaggio che, oltre ad essere difficile, ha tutte le carte in regola per essere un fallimento, uno spreco di energia? Bene, è così che i giovani vedono l’ipotesi di realizzare se stessi. La formazione viene considerata una perdita di tempo. Meglio navigare in acque sicure che avventurarsi in un mondo che non da garanzie. Il rischio è quello di vedere il proprio impegno di tempo e denaro sprecato e negata la possibilità di dimostrare il proprio valore.
Ci ergiamo noi ad Ulisse che sprona i suoi prodi compagni ad affrontare la paura e a rischiare, procedendo verso e oltre le Colonne d’Ercole. Ulisse parla ai suoi “frati” o fratelli, usando il “voi” come pronome personale, come infatti si riconosce nell’individualità del viaggio che ognuno affronta singolarmente nella sua vita. Ogni esperienza è unica non solo per la sua natura ma perchè vissuta da un individuo unico ed irripetibile nel mondo. Così i giovani arrivano al momento della scelta del loro futuro carichi di un bagaglio che li ha resi, nel bene e nel male, le persone meravigliose che sono.
Adesso però è ora di usare il “noi”, come forza unica e riassunto di tutte le realtà che viviamo per creare un equipaggio pronto a guidare la nave delle nostre ambizioni verso la meta ambita. Siamo noi infatti a dover creare una realtà che si adatti ad accogliere i giovani nel mondo del lavoro in modo meritocratico. L’impostazione formale che il sistema dovrebbe avere si ridurrebbe ad un approccio molto semplice. Tutto ciò che servirebbe per innestare un processo di cambiamento non è umiliare chi non è all’altezza del compito che gli è stato affidato da un fasullo metodo di collocamento. La grande svolta deve essere una rivalutazione degli impiegati e delle loro attitudini. In questo modo si vanno a liberare postazioni adatte a qualcuno avente le abilità professionali e personali per poter eseguire quella tipologia di lavoro in modo eccellente.
Perchè partire dalla rivalutazione degli impiegati? Il motivo di questo sta nella necessità di creare un panorama consono al futuro impiego dei giovani di oggi. Se il sistema persiste a mantenere una modalità di impiego analoga a quella attuale non ci sarà facilmente modo di inserire nuove personalità in posizioni consone. La difficoltà sta essenzialmente nella creazione di nuovi posti di lavoro. Ci sentiamo dire continuamente che non ci sono soldi. Bene, allora facciamo in modo che i soldi che ci sono siano usati per pagare personale che svolge in modo ottimo il proprio lavoro. Riorganizzando le mansioni degli impiegati si andrebbero sicuramente a liberare delle posizioni che necessitano di specifiche abilità professionali. Si vanno quindi a inserire in queste posizioni libere i professionisti il cui curriculum sia ottimamente coerente con  le qualità richieste.
Questo non darebbe solo modo ai giovani di avere a disposizione delle possibilità di collocazione nel mondo del lavoro. Gli impiegati già attivi sul lavoro verrebbero assegnati a posizioni molto più consone alle loro abilità e alle loro predisposizioni personali. In questo modo sarà visibile un netto miglioramento delle prestazioni lavorative da parte di individui abituati a lavorare con passività e senza motivazione. La possibilità di eseguire un lavoro che sia adatto alle loro attitudini rende possibile lo svolgimento di tali operazioni in modo più efficiente, dando maggiore motivazione e soddisfazione nello svolgimento. Dei risultati godrebbe tutta la società in quanto ogni servizio sarebbe puntuale e svolto con dedizione da parte di personale adatto alle mansioni affidate. Questo è un modo per ottimizzare le risorse già disponibili che non vanno sprecate. Gli impiegati già di ruolo, infatti, hanno acquisito esperienza nel sistema lavorativo e la mancanza di efficienza è data principalmente dal fatto che non vi è una realizzazione delle personali aspirazioni. Sono molte le lamentele legate alla Pubblica Amministrazione e alle procedure lente e poco efficaci. La domanda che bisogna porsi è se questo dipenda solo dal sistema che non funziona o anche da una errata gestione delle risorse umane. Il reinvestimento nella forza lavoro presente e la riorganizzazione del personale rivoluzionerebbe in modo radicale il sistema lavorativo pubblico e privato.
Per attuare questo è necessaria un’analisi attitudinale e psicologica profonda degli impiegati per comprendere la loro predisposizione.  E’ comprensibile che questo non sia di facile attuazione in quanto molti impiegati sono di età avanzata e difficilmente sarebbero disposti ad imparare a lavorare con altre mansioni. Ciò non deve scoraggiare. L’esperienza maturata è molto importante ma non basta per ottenere dei servizi efficienti e abbiamo prova di questo nelle difficoltà che si hanno nei rapporti tra pubblico e Amministrazioni.
Sembrano piccoli passi ma trasmettono molta più energia di quanto si immagini. I giovani infatti ci osservano. Se sono scoraggiati nell’intraprendere un iter di formazione è a causa della frustrazione che vedono in noi. Lo vedono nei propri genitori, nei professori a scuola e in ogni lavoratore che incontrano durante la loro vita. Non possiamo pretendere che credano alle nostre promesse. Bisogna essere dei condottieri che affrontano per primi la battaglia. Il motto “armiamoci e partite” non va più considerato. E’ necessario fare lo sforzo di cambiare la nostra realtà lavorativa così da creare terreno fertile per le novità che i giovani ci porteranno.
Rivoluzionare il sistema di impiego e la rivalutazione della dignità delle professioni è un passaggio obbligato per predisporci verso la creazione di una realtà meritocratica. Va modificato il meccanismo che si innesca nel momento in cui gli ingranaggi delle assunzioni si attivano. Non basta recarsi nelle scuole a parlare con i ragazzi. La maggior parte di essi non ascolterebbe o commenterebbe sottovoce che sono solo parole. E avrebbero ragione. Quante parole sono state dette e vengono attualmente dette ai ragazzi quando si tratta di discutere del loro futuro? Quante belle parole vengono sbrodolate durante gli “open day” delle Università? Le differenti facoltà o i diversi licei vengono presentati come dei treni in corsa che vanno dritti verso la meta. Ricordiamoci che parliamo con i giovani, non con degli stupidi. Questi ragazzi non credono più a discorsi conditi con parole incoraggianti e promesse di gloria. Ormai neanche alletta più la prospettiva di studiare per ottenere un lavoro che gli permetta di guadagnare molti soldi perchè vige la convinzione che si tratti di posizioni aperte solo a gente privilegiata.
Vi è un grande divario tra il numero dei laureati e il numero di quelli che effettivamente riescono a inserirsi in un contesto di lavoro consono alla loro preparazione. La maggior parte di loro si dedica alla ricerca di un lavoro qualsiasi che gli permetta di sopravvivere trovando, per assurdo, difficoltà di impiego perchè “troppo qualificati” a causa della laurea. Rendiamoci conto di quanto sia assurda questa realtà e di quanto sia ovvio che i giovani si sentano scoraggiati nel fare un investimento di migliaia di Euro per poter studiare.
Cambiamo le cose. Possiamo fare molto per iniziare questa grande rivoluzione. Dobbiamo capire che lo facciamo per loro, perchè è nostra responsabilità. Non hanno chiesto loro di venire al mondo. Li abbiamo voluti questi figli ed è quindi compito nostro fare il possibile per permettergli non solo di vivere una vita dignitosa ma di essere felici di viverla. Abbiamo la responsabilità di fare in modo che abbiano la voglia e l’entusiasmo di dare il meglio di se per crearsi un grande futuro. Prepararsi, studiare e impiegare molte energie può essere richiesto solo a chi ha davvero la possibilità di vedere appagati i propri sacrifici. Bene, facciamo in modo che sia così.
L’impegno deve essere vero. Non solo una manovra politica per abbellire la facciata. I giovani sono attenti e assidui osservatori. Ci studiano in tutti i nostri gesti e i nostri stati d’animo. L’imprinting che hanno avuto finora nei confronti del mondo del lavoro non è stato affatto positivo. Ci osservano e non capiscono o, peggio, capiscono che non serve impegnarsi, non ne vale la pena. Non vale la pena superare le Colonne d’Ercole che, segretamente guardano con amore e al tempo stesso con paura. Come possiamo pretendere che ci diano retta quando li incitiamo ad oltrepassarle se sappiano noi per primi che quel viaggio probabilmente non raggiungerà la meta ambita?
“Non vogliate negar l’esperianza, del retro del sol, del mondo senza gente”. Facciamo in modo di poter dire questa frase ai nostri ragazzi. Creiamo un sistema meritocratico che gli dia la voglia di sperare, di sognare, di iniziare il viaggio e “seguir virtute e canoscenza”.

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