Mag 19, 2018 | Notizie | 0 commenti

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LA REPUBBLICA “QUASI” PRESIDENZIALE DI MATTARELLA

A quasi 80 giorni dalle elezioni politiche, l’Italia scopre di essere diventata una repubblica “quasi” presidenziale. In realtà, solo i pochi italiani più svegli hanno potuto osservare la piega interventista e decisionista che ha assunto il Capo dello Stato.

Mattarella, come d’altronde i suoi ultimi predecessori, ha sempre più l’ardire di volere il bene dell’Europa perdendo di vista il suo preminente compito istituzionale di garante della Costituzione e dunque dei cittadini sovrani. E le maggiori testate giornalistiche gli stanno dando man forte per rinforzare una teorica quanto disastrosa volontà di assuefazione al dictat europeo.

Pochi giorni fa, parlando a Dogliano, ha preso spunto dall’esemplarità di Luigi Einaudi per giustificare la sua particolare visione presidenzialista e ha molto insistito sulle “prerogative” del Presidente della Repubblica nella nomina del Presidente del Consiglio. Ma occorre ricordare al costituzionalista Matterella che, in una democrazia parlamentare che attribuisce rilevanza e tutela costituzionale ai partiti (art. 49 Cost.), sono i gruppi parlamentari ad essere al centro della formazione del governo e sono i partiti – in particolar modo quelli che fanno convergere i loro seggi/voti all’interno di una coalizione parlamentare in grado di esprimere la fiducia al governo – che indicano al Capo dello Stato la persona da nominare quale Presidente del Consiglio dei ministri. Il suo ruolo è di carattere formale: non può esercitare in questo caso alcun potere discrezionale (in tal senso va letto l’art. 92 Cost. “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri”). Del resto, il Presidente della Repubblica non risponde degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni (l’irresponsabilità del Capo dello Stato di cui parla l’art. 90 della Costituzione), essendo la responsabilità degli atti presidenziali unicamente del Presidente del Consiglio o dei ministri che li controfirmano. Non si comprende quindi per quale motivo Mattarella debba indicare lui un nome – addirittura in disaccordo con i partiti – che poi dovrà assumersi la responsabilità politica davanti a quegli stessi partiti che dovrebbero votargli la fiducia in Parlamento. Voto di fiducia che dovrebbero appunto esprimere i partiti che hanno la maggioranza in Parlamento ma che si sono visti mettere il veto sul nome da loro proposto. Tanto più che il Presidente del Consiglio dirige la politica generale del governo e ne è responsabile. È il Presidente del Consiglio che mantiene l’unità dell’indirizzo politico del governo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri (art. 95 della Costituzione). Per tutte queste ragioni sono i gruppi parlamentari ad indicare il nome del Presidente del Consiglio, e il Capo dello Stato non può fare altro che provvedere alla sua nomina, salvo un controllo formale o di legittimità costituzionale (controllare ad esempio se la persona indicata non sia interdetta dai pubblici uffici).

Dunque, secondo la Costituzione (ancora vigente fino a prova contraria), il Presidente del Consiglio incaricato presenta al Capo dello Stato la lista dei ministri, proponendone i nomi, e il Presidente della Repubblica procede con l’atto formale di nomina. Può rifiutarsi il Capo dello Stato di nominare ministri a lui sgraditi? È vero che l’atto di nomina spetta al Capo dello Stato, ma non può esercitare su di esso un potere discrezionale, infatti la nomina dei ministri da parte del Presidente della Repubblica rientra nella cornice dei cosiddetti “atti formalmente presidenziali ma sostanzialmente governativi” sui quali il Presidente della Repubblica svolge solo una funzione di garanzia e di legittimità costituzionale, ponendo in essere un atto formale e non sostanziale.

Mattarella, però, dopo una onorata carriera politica ed una ancora più onorevole carriera di giudice della corte costituzionale sembra aver smarrito la bussola della Legge fondamentale italiana, trovando comunque approdo nella più potente e burocratica Commissione europea, un manipolo di non eletti che detta le linee economiche e quindi politiche, dei singoli stati europei.

Gli italiani hanno forse perso il loro nocchiero, ma stanno ritrovando la propria consapevolezza di essere responsabili gli uni degli altri, dinanzi alla Costituzione repubblicana e alla propria sovranità individuale e collettiva. Sta a loro dunque rimboccarsi le maniche ed agire per il bene comune dell’Italia, salvaguardando prima di ogni altra cosa il patrimonio culturale, la storia, i beni patrimoniali e poi, carichi di questa grande ricchezza (di cui sono solamente responsabili custodi) entrare in una rinnovata Europa di popoli.

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