Apr 25, 2018 | Notizie | 0 commenti

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Le mezze verità della sentenza sulla trattativa Stato-mafia

“Vogliamo avere verità, e vogliamo avere anche giustizia, per le vittime delle stragi e per tutti noi, vittime indirette e inconsapevoli di quei fatti”. Dopo la decisione della Corte di Assise di Palermo – il cui coraggio rimarrà nella storia – tornano in mente le parole tratte dalla lettera aperta di un gruppo di studenti universitari di Trento, rivolta al pool del processo Trattativa Stato-mafia.

Ora che la sentenza è arrivata, dopo oltre 220 udienze e quattro anni e otto mesi di dibattimento, dove sono state riportate alla luce le oscure vicende che si sono consumate negli anni delle stragi, rimane però ancora un po’ di amaro in bocca. È stato fatto tutto il possibile per ricercare la verità? Sono veramente stati spalancati tutti gli armadi che nascondono la fosca oscurità di episodi che hanno lasciato una così lunga scia di sangue sulle strade?

Siamo in Italia e come per altre importanti vicende della storia nostrana (vedi il caso Moro) la “vera” verità è certamente ancora lontana: “Adesso ci vorrebbe un pentito di Stato, un qualcuno che faccia chiarezza rispetto a quanto avvenuto” ha dichiarato il pm della Direzione Nazionale Antimafia (Dna) Nino Di Matteo, in merito alla sentenza sulla cosiddetta trattativa. Sono parole pesanti che indicano come il lavoro si sia compiuto solo a metà e che purtroppo c’è ancora una reticenza istituzionale che si fatica a spezzare. Di sicuro, una verità taciuta per oltre venti anni, ora viene offerta agli italiani. E si tratta certamente di una rivincita per quei magistrati che, nonostante le numerose polemiche, le minacce, le reticenze, non hanno mai smesso di cercarla.

Una verità infatti che non si è fermata neanche davanti all’inquietante sequela di testimonianze, eccellenti o meno, contornate di “non ricordo” e “non sapevo”, di silenzi tombali e scivoloni di cattivo gusto da parte di ex capi di Stato, conclusisi con altezzosi strali istituzionali e dietro front del Consiglio Superiore della Magistratura, che però non hanno potuto non lasciare spazio ad ammissioni sottovoce, in cui si confermava come le bombe del ’92-’93 furono un “aut-aut” allo Stato, “un ricatto a scopo destabilizzante di tutto il sistema” (così Giorgio Napolitano nella fantasmagorica udienza straordinaria del 28 ottobre 2014 al Quirinale).

Nei confronti del pool di magistrati, questo Paese è profondamente in debito: per l’impegno profuso in questa indagine spinosa nonostante la spada di Damocle di una condanna a morte di Cosa Nostra, e nonostante il silenzio dei vertici delle istituzioni che più volte si è trasformato in vero e proprio ostruzionismo. Lo spirito di servizio che ha animato il grande lavoro dei pm di questo processo rimarrà come pietra miliare per continuare a cercare tanti altri pezzi di verità della nostra storia recente. Una storia che in pochissimi volevano far emergere dal cuore nero di uno Stato che è colpevole di aver trattato con la mafia sul sangue di tanti innocenti. Le cui ferite – mai rimarginate – possono finalmente cominciare ad essere sanate da questa sentenza.

Rostagno (ucciso dalla mafia nel 1988 a soli 46 anni) diceva: “Noi non vogliamo trovare un posto in questa società, ma creare una società in cui valga la pena di trovare un posto”. Quella società che va creata giorno dopo giorno senza mai dimenticare chi ha pagato con la vita per darci questa possibilità e con la consapevolezza che deve essere ognuno di noi a mettersi in gioco assumendosi le proprie responsabilità e agendo sempre onorevolmente nei confronti di ogni altro cittadino.

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