LA SICUREZZA NEGLI OSPEDALI: UN DIRITTO DEI PAZIENTI, DEL PERSONALE SANITARIO E DELLA INTERA COLLETTIVITÀ.
Numerosi fatti di cronaca inerenti ad accadimenti avvenuti all’interno delle strutture sanitare, impongono di potenziare la sicurezza e garantire la legalità negli ospedali e nelle cliniche.
L’obiettivo è quello di offrire maggiore tutela alle categorie più deboli, ovvero i pazienti, ma anche al personale medico, paramedico, amministrativo, che ivi presta la propria attività lavorativa. Inoltre occorre impedire che le menzionate strutture diventino un anello per la consumazione di condotte truffaldine a causa dell’attività di taluni operatori “compiacenti”.
LE CASISTICHE CHE MERITANO ATTENZIONE
Quando ci riferiamo a condotte illegittime e pregiudizievoli che possono verificarsi all’interno delle strutture ospedaliere, l’attenzione va immediatamente ai casi di mala sanità. A causa di negligenze o condotte imperite di chi dovrebbe tutelare la salute del cittadino, il paziente subisce un peggioramento delle proprie condizioni fisiche e talvolta, purtroppo, si vede leso anche nella propria dignità. Malati abbandonati nelle sale d’attesa o, per giorni, su inadeguate barelle e lasciati privi dell’assistenza richiesta e dovuta, sono solo alcuni degli esempi di quanto accade.
Ancora oggi fa discutere il caso, per molto tempo all’attenzione dei media, di una cittadina la quale, ricorsa alle cure mediche in preda ad un malore, decedeva a causa di gravi ritardi diagnostici e terapeutici di note strutture ospedaliere che omettevano di diagnosticare uno stato settico ingravescente che, se opportunamente e tempestivamente trattato, avrebbe certamente consentito alla paziente di essere in vita. La vicenda, certamente tragica, ha rappresentato non solo un caso di mala sanità, ma anche un triste esempio di trascuratezza e indifferenza rispetto alla dignità del paziente e alla sofferenza psico-fisica che investe non solo il malato ma anche i suoi familiari. La paziente, nel caso di specie, in preda ad atroci ed ingravescenti sofferenze è stata del tutto abbandonata per ore dal personale medico e paramedico su una barella. A nulla sono valsi i continui e disperati tentativi dei familiari di sollecitare l’intervento dei sanitari, l’esecuzione celere di indagini e di esami specifici, il trasferimento presso altra struttura dotata di reparto competente alla cura della patologia. La struttura in questione non era dotata nemmeno di un termometro che avrebbe potuto subito rilevare l’aumentare dello stato febbrile e quindi il progredire dello stato settico, tanto che un familiare della vittima si vedeva costretto ad acquistarlo all’esterno.
Angoscia e sofferenza fino alla morte della paziente si sarebbero potuti evitare operando maggiori controlli sulle condizioni della degente e sulle azioni (rectius omissioni) del personale che l’aveva in cura.
Ed ancora: non è raro, purtroppo, che un paziente, ricoverato presso cliniche o strutture ospedaliere, venga trovato privo di vita durante la visita medica mattutina e, dopo diverso tempo dall’ora effettiva del decesso, stroncato da malore nella notte. Le cosiddette “morti bianche”, spesso celano gravi omissioni del personale di turno, rendendo plausibile ritenere che durante la notte il paziente possa non avere avuto le cure necessarie, possa non essere stato monitorato o non aver ricevuto la dovuta assistenza, anche quando richiesta.
Non mancano segnalazioni di casi di negligenza del personale sanitario nel trattamento delle piaghe da decubito: spesso il tempo dedicato all’assistenza di chi ne soffre è troppo poco. Eppure, quando si parla di piaghe da decubito, il legislatore pone chiaramente l’accento sui concetti di prevenzione e assistenza. Inoltre il D.P.R. 14/1/95 introduce una serie di indicatori atti a misurare l’efficacia delle strutture ospedaliere, il rispetto del diritto degli utenti e la qualità dell’organizzazione.
Con l’introduzione del D. lgs n.42/99 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie” la responsabilità dell’infermiere ha assunto un ruolo cruciale. Per effetto di tale normativa la responsabilità non si riferisce soltanto alle prestazioni erogate, ma si estende anche ai bisogni che l’utente ha e che non riesce a soddisfare in modo autonomo, alla pianificazione e messa in atto degli interventi infermieristici, nonché alla valutazione dei risultati ottenuti.
Nella prevenzione e trattamento delle piaghe da decubito, come stabilisce il D.M. n.741/94, la responsabilità è anche del fisioterapista che “svolge in via autonoma, o in collaborazione con altre figure sanitarie, gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione nelle aree della motricità, delle funzioni corticali superiori e di quelle viscerali conseguenti ad eventi patologici, a varia eziologia congenita o acquisita” (art. 1, comma 1).
È chiaro, perciò, che sia l’infermiere che il fisioterapista abbiano responsabilità professionale nella prevenzione delle piaghe da decubito in soggetti costretti ad allettamento prolungato.
Tuttavia, la responsabilità è anche del medico poiché le piaghe da decubito sono correlate a fenomeni come le macerazioni, pressioni e frizioni e da tutti altri fattori legati allo stato di salute generale del paziente.
Nonostante il chiaro riconoscimento del paziente ad una assistenza appropriata, il fenomeno dei danni da decubito è persistente.
Se si verificano tali drammi, è evidente che non vi sono controlli adeguati!
Ma accade che anche il personale sanitario, che svolge con decoro e responsabilità il proprio lavoro, sia a sua volta vittime di condotte lesive, di aggressioni fisiche e verbali, ad opera di terzi che hanno facile accesso alle strutture, a causa della carenza dei controlli e dei sistemi di sicurezza. Malgrado la vigenza dell’art. 2087 del Codice Civile, nonché del Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro (TUSSL) non vengono poste in essere misure idonee. In particolare mancano le Guardie Giurate, i presìdi di polizia sono insufficienti e, soprattutto, i varchi secondari d’accesso – generalmente riservati al personale – non vengono adeguatamente chiusi.
Circostanza ulteriore ed estremamente rilevante da segnalare è che una cospicua maggioranza di truffe assicurative prende le mosse proprio dai verbali che vengono redatti allorquando la finta vittima viene dimessa dal Pronto Soccorso.
Il sanitario di turno, redigente il referto, se non compiacente è quanto meno gravemente negligente rispetto agli obblighi che la professione gli impone.
Infatti, nei processi aventi ad oggetto falsi sinistri, ovvero truffe assicurative, non è infrequente imbattersi in referti di PS redatti a mano e/o con sospette correzioni/ incompleti e compilati con dati errati/ privi di obiettività, diagnosi, terapie, ovvero relativi a patologie inesistenti e/o pregresse o addirittura riferibili a soggetto diverso dal paziente.
Il certificato rilasciato da un esercente la professione sanitaria costituisce l’atto scritto che dichiara conformi a verità fatti di natura tecnica di cui il certificato è destinato a provare l’esistenza. Tale dichiarazione scientifica presuppone che i fatti oggetto della certificazione siano di competenza medica e che il sanitario li abbia personalmente accertati a causa e nell’esercizio della professione medica. I certificati rilasciati da un medico presuppongono un’attività di accertamento diretto compiuta dal medico stesso, in uno alla correlazione del contenuto e della finalità della certificazione stessa che deve contenere i seguenti elementi: una scrittura formata a mano od ottenuta con mezzi meccanici indelebili; l’autore dell’attestazione risultante dalla sottoscrizione dell’atto comprensivo delle sue generalità e qualifica; il destinatario cui la certificazione è diretta; la data dalla quale risulti il tempo e il luogo in cui il certificato è stato compilato.
Requisiti essenziali del certificato sono la chiarezza e la veridicità.
In particolare modo si sottolinea come, in specie in relazione a certificazioni attinenti fattispecie lesive occorse in occasione di incidenti del traffico dalla dubbia veridicità, la certificazione sia redatta in maniera incompleta, poiché contenente, nella maggior parte dei casi, un giudizio diagnostico e prognostico non accompagnato da una opportuna e dettagliata terapia.
In mancanza di tali elementi il certificato è da considerarsi privo di veridicità e quindi falso sotto il profilo ideologico.
La falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità è, d’altra parte, prevista dal Codice Penale, all’articolo 481, nei termini seguenti: “Chiunque, nell’esercizio di una professione sanitaria o forense o di un altro servizio di pubblica necessità, attesta falsamente, in un certificato, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a 3 anni o con la multa da euro 51,65 a 516,46. Il medico, in qualità di pubblico ufficiale, qualora rilascia attestazioni non veritiere nell’esercizio delle sue funzioni, risponde del reato di “falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati” (art. 480 del Codice Penale).
In definitiva, quindi, il medico certificatore è civilmente responsabile di rispondere o rendere ragione di una sua azione, omissiva, in questo caso, in ottemperanza ai princìpi ed alle regole sanciti all’art. 1 del Codice di Deontologia Medica relativamente all’esercizio della professione medica in qualsiasi ambito o stato giuridico in cui venga svolta.
Nel discorrere di “certificazione medica critica-compiacente”, non possiamo non rammentare che diversi sanitari risultano, allo stato, sottoposti ad indagini da parte della Procura: su costoro grava, invero, l’accusa di non essersi accertati tanto della reale identità dei pazienti quanto della causa concreta che ha dato luogo ai traumi che essi riferivano. Si erano, invece, limitati a chiedere indirizzo e recapiti telefonici. Per come emerso in questi casi, lo stesso individuo si presentava in ospedale più di una volta dichiarando generalità diverse a seconda del caso.
CIVICRAZIA CHIEDE DI INSTALLARE O IMPLEMENTARE LE TELECAMERE DI SORVEGLIANZA NELLE STRUTTURE OSPEDALIERE E NELLE CLINICHE.
I casi sopra citati mostrano chiaramente che una delle maggiori criticità della strutture sanitarie sia dovuta alla scarsa efficacia delle misure di sicurezza e alla mancanza di adeguata sorveglianza, in danno del paziente, del personale sanitario e in definitiva della intera collettività, dato che in taluni Ospedali operano (spesso noti) sanitari che partecipano a disegni criminosi integranti truffe assicurative quando rilasciano certificati “falsi” ovvero privi dei requisiti propri della certificazione medica.
E’ pertanto quanto mai opportuno prevedere e/o implementare un adeguato sistema di sorveglianza e, in tal senso. installare le telecamere nei reparti ospedalieri (dacché sono in ballo dei diritti costituzionalmente garantiti, tra cui quello alla vita ed alla salute e ovviamente con le necessarie garanzie ), in particolar modo nei Pronto Soccorso, dove molta gente riesce ad attuare illeciti, ricorrendo a continui cambi d’identità!
Dopotutto, una norma di recente introduzione – segnatamente, le Linee Guida per gli esercenti le attività da bar ed i gestori di locali pubblici, dettate dal Ministro dell’Interno con Decreto dello scorso 21 gennaio – ha imposto, al fine di scongiurare il verificarsi di eventi dall’epilogo spiacevole, l’installazione, all’interno degli esercizi interessati, di un sistema di video sorveglianza (oltre, ovviamente, alla relativa manutenzione), tramite il quale verrà operata, altresì, una valutazione tanto degli operatori quanto degli avventori.
Perché, dunque, non si deve provvedere in tal senso anche nelle strutture sanitarie, che sono preposte per loro natura a far sì che l’essere umano riacquisti la salute o (nelle ipotesi più delicate) non perda la vita?
Pertanto Civicrazia chiede di agire. Una ripresa mirata potrebbe non solo identificare i responsabili di condotte lesive da ogni punto di vista, bensì anche (anzi, soprattutto) salvare la vita e/o la salute – fisica e psichica – di una persona e l’integrità di una famiglia, oltreché a far sì che la collettività non si veda, suo malgrado, costretta a diverse rinunzie per via della considerevole lievitazione degli oneri fiscali a suo carico, conseguenti alle ipotesi di responsabilità erariale correlata ai casi di mala sanità e dei premi assicurativi a causa di sinistri con lesioni fraudolenti.
Riccardo Vizzino, Avvocato,
Responsabile nazionale di Civicrazia contro le truffe assicurative
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