Come ogni anno, ormai da 73 anni, ieri si è andati in scena con la Festa della Liberazione e in tutti i Comuni d’Italia si sono svolte manifestazioni e cortei commemorativi.
Mattarella, rivolgendosi ai rappresentanti delle Associazioni partigiane a parlato di come la Resistenza, “nata spontaneamente nelle città, nelle periferie, nelle campagne e sulle montagne, coglieva il bisogno di pace, di giustizia e di libertà” abbia “ridato dignità alla Nazione”.
A Roma, il sindaco Raggi ha dichiarato: “Il riemergere in tutta Europa e nel nostro paese di nuovi e vecchi fascismi il dilagare di un linguaggio politico violento e razzista, la ripresa di forme di violenza che assume tutte le caratteristiche destabilizzanti di un tempo che si auspica irripetibile, in tutta Italia e nel Lazio in particolare, richiamano al senso di responsabilità ed impongono di superare le divisioni che in questi ultimi anni hanno caratterizzato le celebrazioni della Liberazione. Non possiamo impedire di far emergere pienamente la necessità di rievocare la Resistenza e la Guerra di Liberazione quali radici identitarie della nostra comunità nazionale e della Costituzione, la cui piena attuazione diviene ormai impegno inderogabile per tutti coloro che si riconoscono nei valori di pace, libertà, democrazia partecipata e giustizia sociale che da quel dettato promanano direttamente”.
Nel capoluogo lombardo, le iniziative avevano come titolo: “Milano antifascista, antirazzista, meticcia e solidale”.
Il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, si è lasciato andare a sofismi sulla differenza tra memoria e ricordo fino ad introdurre il diritto dei migranti: “Palermo vuole essere giudicata per il rispetto che ha dei diritti dei migranti. Il 25 aprile serve non solo a tenere alta la guardia nei confronti di rigurgiti fascisti, ma a tenere alta l’asticella dei diritti. È inutile che dico ‘sono contro il fascismo’ se poi non riconosco i diritti di ciascuno, è inutile che mi proclamo antifascista se poi caccio i migranti o ne ignoro i bisogni. Questa città proprio facendo memoria della Liberazione, cerca di coniugare ogni giorno meriti e bisogni e ringrazia i migranti che sono una continua messa in mora rispetto al tema dei diritti”.
Il rituale che puntuale torna a rinfocolarsi ogni anno, acquista sempre più i connotati di un grande calderone di “qualunquismo e degenerazione statalista” (Pier Paolo Pasolini), mentre i politici di turno fanno a gara per spiccare in originalità scadendo invece nelle solite frasi fatte, polemiche, luoghi comuni, conformismi dei più beceri e logori. I partigiani, gli ultimi ad avere ancora il diritto di festeggiare, stanno pian piano morendo e la loro causa sta scemando con loro, fino all’oblio delle cose, perché il pensiero di una natura umana plagiata dall’arrivismo politico considera di guadagnare a qualunque costo ed in qualunque modo punti importanti dinanzi all’opinione pubblica. Il mondo attuale è ormai agli antipodi di quegli oscuri anni che l’Italia ha vissuto, eppure sembra di star ancora sentendo le pallottole fischiare o il saluto fascista riecheggiare nelle orecchie. La società è strutturalmente cambiata, si sono letteralmente consumate più di due generazioni di uomini e donne ed ancora a far da padrona è la paura di poter rivivere quei tristi momenti. Rivivere. Chi? Inutili preoccupazioni non fanno che disunire i cittadini ed i politici sono dei veri maghi in questo gioco del divide et impera.
Oggi, invece, sarebbe auspicabile che la vera liberazione si realizzi nei confronti di una intera classe politica e di una amministrazione pubblica, frutti (ormai marci) di corruttele e servilismi. È ormai il tempo di compiere un passo in avanti e ricominciare a mettere il cittadino al primo posto, solo così il sangue di tanti partigiani troverà finalmente la pace.
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