Giu 27, 2018 | Notizie | 0 commenti

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NEGOZI CHIUSI DI DOMENICA: UN FALSO PROBLEMA?

Nel 2012, il governo Monti varò il decreto “Cresci Italia”, con il quale si liberalizzavano gli orari di apertura dei negozi. Si trattò dell’unico caso in tutta Europa e l’obiettivo dell’esecutivo era quello solito della crescita economica. Ovviamente, la crescita non ci fu perché erano sbagliati sia l’obiettivo, sia la modalità per eventualmente raggiungerlo.

Nel 2018, il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, propone di fare marcia indietro con una stretta sulla liberalizzazione degli orari di apertura. E puntuale si rinfocola la polemica che si ripresenta tra il mondo del commercio, i dipendenti e la clientela: libertà contro regolamentazione, business contro diritti.

Le multinazionali sono per la liberalizzazione completa: i grandi centri commerciali ormai non forniscono più solo un servizio di vendita al minuto, ma sono diventati dei veri centri sociali di aggregazione togliendo il primato ai centri storici delle città, che tradizionalmente rappresentavano il salotto serale e festivo delle relazioni personali.

I piccoli negozi sono invece con Di Maio perché a crescere, con l’apertura festiva, sono molto spesso solo i costi di gestione e amministrativi, visto che i dipendenti dovranno essere retribuiti complessivamente di più e che altre maggiori spese (luce, acqua, etc.) graverebbero sul bilancio annuale.

Infine, a nessuno sembra importare dei fabbisogni e delle necessità dei dipendenti, perché mentre le grandi multinazionali hanno dalla loro parte un immenso serbatoio di risorse umane pronte ad accettare un lavoro anche sottopagato pur di lavorare e mentre i proprietari dei piccoli esercenti a gestione familiare possono decidere della propria vita ed aprire quanto meglio credano, sono comunque sempre i dipendenti i più penalizzati dalla liberalizzazione estrema delle aperture. E quindi, liberalizzazione o meno, quello che oggi occorre urgentemente è soprattutto una legge che protegga i diritti dei subordinati salariati: che siano diritti umani, sociali, religiosi, non si può più sottostare ai ricatti dei direttori di filiale. La libertà deve essere una prerogativa di tutti e non soltanto per qualcuno. La necessità di garantire al dipendente diritti, riposo, godimento degli affetti familiari in giorni molto particolari per la nostra cultura, il riconoscimento di una dimensione umana e non solo economica della vita, deve tornare di nuovo a prevalere, pena l’avvento (in verità già ampiamente verificatosi) di una stagione di perdita di senso del lavoro e in special modo di senso della vita, con numerose ricadute sulla salute fisica e mentale.

La precedente liberalizzazione inoltre, come già accennato, ha fortemente contribuito al mutamento dei costumi degli italiani, che a frotte ne hanno approfittano per trascorre nei centri commerciali qualche ora in famiglia, la domenica o persino nei giorni di festa. Le antiche tradizioni si stanno perdendo e nuove ne stanno nascendo, ma suonano vuote e senza storia: si tratta solamente di commercio e consumismo. La nuova religione della crescita economica sta scardinando persino le radici culturali e religiose dell’Italia, ma non solo.

Si tratta di riconsiderare l’intero impianto economico-commerciale che si è voluto sviluppare in questi anni e ridare un volto umano al consumatore seriale e zombizzato. Dunque, liberalizzazione sì, liberalizzazione no, quello che conta da una parte è lasciare sempre libero il dipendente di scegliere il proprio giorno festivo, senza la paura di rimanere senza lavoro e dall’altra rivedere gli orari lavorativi in generale, che spesso e volentieri costringono le famiglie a dover utilizzare il giorno festivo per fare quelle spese che altrimenti gli altri giorni risulterebbe impossibile realizzare.

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