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NON ANESTESIZZARSI, DARE SENSO ALLA MORTE, DARE SENSO ALLA VITA

Su La STAMPA del 6 luglio 2024:
Oristano, auto travolge un gruppo di motociclisti: muoiono tre amici tra i 27 e i 30 anni.
Una notizia, ad esempio come questa, di morte non può perdersi mai nel fiume della cronaca.

 

La coscienza

Una società viva deve sapere comprendere il dolore della morte.
Questo articolo vuole essere un appello a non anestesizzarsi e sentire tutti la dolorosa morte. La coscienza non ha in sé la capacità di concepirsi come finita. Così il Sé profondo non elabora la realtà della morte, poiché non attiene al mondo del tangibile, della materia e della razionalità! La coscienza attiene al qui ed ora, anche quando contiene visioni e ricordi!
Così il lutto è un evento-trauma che infligge una rottura alla coesione del Sé, alla continuità dei legami e della comunicazione. La persona impatta con la surreale e distonica perdita, dolorosissima, della persona amata, che, vitale e presente, in pochi istanti permane inerme come salma. La salma non è riconosciuta come la persona nota e amata, se non attraverso la mediazione della ragione.
La coscienza non elabora agevolmente il lutto della persona cara che viene a mancare tragicamente. La morte è distonica all’Io, è feroce e dolorosa, confonde e stupisce, strazia.

 

Il defunto

Il defunto non è vissuto come tale, per lunghi periodi di tempo. Di lui si percepiscono erroneamente la presenza e i suoni, che gli vengono attribuiti, “illusione di presenza”, poiché la memoria fa fatica a incorporare la morte nella immediatezza, ha bisogno di lunghi tempi e di differenti passaggi. L’elaborazione del lutto è ancora più difficile quanto più il legame era sostitutivo di figure importanti, nella genesi della personalità!
Il lutto nell’infanzia può costituire un complesso trauma da cui si struttura negativamente l’intera personalità, segnando per sempre la visione del mondo, degli affetti, delle relazioni!
La vita è vista come maligna, e il processo di sviluppo ha bisogno di altre figure significative e sicure perché il bambino – e persino l’adulto – riescano a superare questa visione e questo vissuto di insicurezza profonda. Il lutto – e persino il defunto – hanno frantumato la fiducia di base.
La morte ci apre ad altre possibili dimensioni nel tentativo di conservare il legame, e il nucleo centrale del Sé; spesso sensazioni di dolore e colpe acutissime riempiono il vuoto dell’ assenza del congiunto amato!

 

La perdita

La perdita di valore di molti interessi, la mancata possibilità di poter dire il non detto, la consapevolezza crescente che chi è deceduto non sarà più presente
sono spesso per genitori, mogli, figli, un impatto distruttivo. Senza tregua la coatta domanda: ”perché?” è pregna di una ricerca surreale di riportare nell’attualità il passato, fossero anche gli ultimi istanti.
La salma è quanto resta per poco. E’ verso la salma che vengono riversate lacrime, richiami e angoscianti pensieri di ricerca e di risposta; la brama drammatica e il desiderio di colui o colei che ci ha lasciato, uscendo con occhi vivi e luccicanti, e ora tace rigidamente, con il suo pallore di cera!
La scomparsa dell’amato appare irreale, e così repentina da impegnare tutte le nostre risorse. Chi sopravvive abbraccia con mani calde di madre o figlio il corpo amato, e in lui ricerca la presenza di una vita e di quel respiro che era perenne in vita. Ma ora tace!

 

È freddo!

La morte è una sofferenza totale inferta, afflizione, ferita e uno squarcio immenso; ma soprattutto un mistero.
Il lutto apre le porte agli Inferi del nostro mondo interiore.
Il freddo interno coincide spesso con il freddo esterno: strutture anonime, dipendenti sanitari che trattano la morte come una pratica, disumanità di pubbliche amministrazioni.
Diamo senso alla morte, diamo senso alla vita.

Donatella Mereu, Psicologa, Psicoteraupeta, Neuropsicologa clinica, Psicopatologa forense, Criminologa.

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