Civicrazia, nell’ambito del progetto Napoli Innanzitutto, con cui intende ridare ai cittadini napoletani la libertà di scegliere liberamente il candidato sindaco e formulare concrete proposte per il risanamento della città, ha aperto uno spazio di confronto aperto con le associazioni operanti a Napoli.
Questa settimana abbiamo intervistato la Dott.ssa Grazia Panico, presidente dell’associazione “Realtà Donna”.
Presidente, di cosa si occupa Realtà Donna?
E’ difficile sintetizzare l’operato dell’associazione in poche righe, poiché interveniamo in moltissimi ambiti. L’associazione si occupa, infatti, di favorire il bene comune, la crescita sociale, di stimolare il senso di appartenenza al territorio.
Il nostro obiettivo primario è costruire una rete di solidarietà quotidiana, propria di una cittadinanza attiva e partecipe. Per questo, tra le tante attività che seguiamo, ci sono azioni in favore dei giovani, dei minori a rischio, dell’artigianato, iniziative formative (come seminari, in ambito sociale e politico – intendendo per politica la cosa comune – ). Tutto ciò principalmente in area napoletana, ma ovviamente alcune azioni implicano un coinvolgimento della Regione Campania tutta.
Realtà Donna opera da ormai 15 anni a Napoli. Cos’è cambiato in questo lasso di tempo?
Molte cose, spesso negative. La più evidente è il degrado del concetto di bene comune, inteso come territorio ambientale, ma anche come ambiente sociale e urbano. La mia generazione ha combattuto molte battaglie, parlo del femminismo, dei diritti sociali, dei diritti del lavoro… abbiamo ottenuto molte conquiste. Siamo certi, però, che non siano solo conquiste apparenti? L’evoluzione a cui aspiravamo ha dato vita a leggi moderne e ottime nei principi, ma che talvolta restano solo meri principi su carta: non hanno un seguito nella realtà. La mentalità non è cambiata.
Abbiamo ottenuto il divorzio, l’aborto, ma soprattutto la nostra generazione ha dato il via alla rottura del concetto solido della famiglia – intesa nel senso tradizionale -, ma che modello stiamo dando ai giovani? Che valori stiamo trasmettendo?
Come vede il rapporto con le nuove generazioni?
A differenza di 15 anni fa, anche qui le cose sono mutate. Non c’è comunicazione tra le generazioni, forse perché il modo di comunicare, a causa del gap tecnologico che amplifica il gap temporale, è assai più diverso che in passato. E’ difficile interagire con i ragazzi. Sono disillusi e critici e forse hanno ragione. Guardano ai nostri anni di lotte con scetticismo: del resto come biasimarli… tante battaglie per il lavoro e per loro lo spettro del precariato, con sullo sfondo una famiglia disgregata e un individualismo imperante.
Oggi anche l’amore è liquido – come scrivono alcuni sociologi – e i punti fermi per i ragazzi non esistono più, nel fluttuare di mode e social network.
Invece i ragazzi avrebbero bisogno di certezze!
Assolutamente. Con il rifiuto, le nuove generazioni stanno perdendo anche il buono delle nostre lotte. I valori, l’unirsi, il fare gruppo per ottenere qualcosa. I ragazzi chiedono punti fermi, ordine, disciplina. Invece, spesso, si trovano davanti genitori, professori alle prese con i propri problemi, privi essi stessi di certezze. Che esempio diamo? Prima di chiedere rispetto occorre conquistare la loro fiducia. Dare l’esempio è fondamentale. I ragazzi cercano esempi e sono alla disperata ricerca di nuovo modelli di riferimento. E’ in questo vagabondaggio sociale che rischiano di finire in strade sbagliate.
Dare l’esempio. Mi sembra sia un punto chiave della vostra attività quotidiana di associazione.
Sì, lo è. Oggi si fa troppa teoria e poca pratica: forse il problema principale della scuola italiana. Serve più pratica, serve passione, servono persone pronte a fare, ad aprire varchi, a farsi esempio concreto di cambiamento. Lo Stato, la pubblica amministrazione in questo è carente. Delega a noi associazioni, e il cosiddetto terzo settore.
Spetta a Voi, dunque, la responsabilità dell’esempio?
Noi ci assumiamo questa responsabilità, ma è un’impresa titanica, perché siamo di fatto abbandonati.
Le spiego: è lo Stato, è la Pubblica Amministrazione che dovrebbe offrire determinati servizi, invece non è in grado e delega. Le associazioni rispondono in vece del Comune e della Regione. Ma questo è sbagliato, perché innanzitutto non ne abbiamo i mezzi. Siamo soli a far fronte a migliaia di richieste che meritano risposte complesse.
Le associazioni dovrebbero essere di aiuto alle istituzioni, non essere chiamate a sostituirle, di fatto, come oggi avviene, purtroppo, troppo spesso. Come si fa: con quali budget possiamo sopperire a problemi strutturali che necessiterebbero di approcci integrati? E’ come mettere continui tappi su un recipiente che continua a fare buchi perché è deteriorato. Piuttosto che continuare a sopperire di volta in volta alle singole emergenze, si dovrebbe sostituire il recipiente.
Lo Stato, le istituzioni, riconoscono il vostro valore, finanziano le associazioni?
Il discorso è molto complesso. Le istituzioni aprono dei bandi, bandi pubblici, il cui funzionamento andrebbe rivisto. Per farle un esempio, come avviene l’assegnazione dei fondi? C’è vera trasparenza? In parte. Le spiego: le associazioni presentano i propri progetti per ottenere i fondi. Questi vengono valutati positivamente o negativamente. Bene. Ma a parità di valutazione, cosa determina la scelta? E’ inevitabile che possano istaurarsi meccaniche di favoritismi, di amicizie, legami politici. Oggi un’associazione che vuole operare, come Realtà Donna, al di fuori delle logiche di partito, incontra maggiori difficoltà. Se vuoi restare apolitico e non ghettizzare, ti ritrovi da solo.
Inoltre, un altro fattore su cui riflettere è la mancanza di una valutazione successiva dei progetti: chi valuta la qualità del lavoro, che effettivamente gli investimenti producano risultati? Questo passaggio manca, ed è un passaggio che invece potrebbe evitare un inutile spreco di soldi pubblici.
Cosa si potrebbe fare per cambiare le cose?
Occorrono regole condivise, più disciplina, maggiore trasparenza e i controlli devono essere attuati da persone di ogni sospetto. Lo Stato deve farsi carico dei controlli, ma anche del coordinamento e dare un concreto sostegno alle associazioni.
Considerato prioritario un problema, lo Stato dovrebbe indirizzare le associazioni del Terzo Settore a collaborare per risolverlo, convogliando i fondi sull’obiettivo fino alla realizzazione, non solo per il tempo parziale della durata del singolo progetto. Così non si risolve, si tampona, ma poi si è al punto di partenza.
Un altro esempio concreto, che mi sta particolarmente a cuore: quello dei beni confiscati alla camorra, che possono essere assegnati alle associazioni. Spesso questi beni sono stati oggetto di gravi atti vandalici, vere e proprie devastazioni. A prescindere da un intervento preventivo di controllo sul bene – che non è stato fatto -, ora l’associazione che riceve il locale confiscato si deve addossare interamente gli oneri della ristrutturazione. Se lo Stato vuole dare un segnale forte dovrebbe poter assicurare un aiuto.
Dare un segnale, dare l’esempio. Sono costanti che tornano nelle Sue risposte, presidente. Da dove prende le energie per essere sempre propositiva, per dare un sostegno concreto alla Sua città, ma anche in famiglia, nella Sua vita di donna, moglie e madre?
Eh… certi giorni me lo chiedo. Le energie talvolta vengono a mancare. Per fortuna però c’è la passione, la voglia, il desiderio di cambiamento, di non rassegnarsi a questo stato di cose.
Sa, per lavoro mi capita di viaggiare spesso per l’Italia… alle volte, parlando, capita di sentirsi l’ultima tra le regioni. Napoli e la Campania devono riprendersi il diritto ad avere voce, a poter decidere davvero del proprio futuro.
Cosa si augura per Napoli e perché crede che un progetto come Napoli Innanzitutto sia importante per concretizzare il cambiamento?
Perché l’unione fa la forza ed un cambiamento strutturale può avvenire solo con il contributo di tutti i soggetti che operano per la città: associazioni, cittadini e istituzioni.
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