Le conquiste del sapere scientifico. Il paradigma psico-socio-biologico.
A livello scientifico è ormai condivisa, per la tutela dei sofferenti psichici, la stabile convergenza di fattori negativi organici, psicologici e sociali.
Il malato mentale non diventa tale per determinazione biologica, ma solo se su di una predisposizione organica si innestano in modo stabile fattori psicologici e ambientali nefasti.
Come sostiene da tempo Giovanni Ariano, presidente della Società Italiana di Psicoterapia Integrata, «in campo scientifico, è diventato senso comune che la malattia mentale sia causata dall’intreccio di una labilità biologica (= predisposizione), di condizioni ambientali sfavorevoli e di una personalità psicologica fragile».
Ciò nonostante, pur essendo chiara tale spiegazione tri-fattoriale, nella prassi scientifica non esiste ancora un modello teorico unico, che permetta l’integrazione tra le tre branche interessate nella spiegazione e nella cura della malattia mentale: biologia, psicologia e sociologia.
Una possibile formula di integrazione consiste nel considerare che la malattia mentale è malattia della soggettività e della inter-soggettività, il cui specifico risiede in una grave ferita nella capacità di un uomo di essere un soggetto in relazione con altri soggetti.
Tale formula emerge, di recente, nell’invito del Difensore Civico presso la Regione Campania, rivolto all’ASL Napoli 2 Nord, a cessare la grave e continuata lesione del diritto alla salute dei sofferenti psichici, rilevando che «– in termini logici, sociali, umani, prima ancora che giuridici – la tutela dei sofferenti psichici è cardine dell’ordinamento perché riguarda persone, ancor più che i malati fisici, che hanno per tale loro condizione un’estrema difficoltà a salvaguardare i propri diritti inalienabili».
Incarnare nella clinica la teoria dei tre fattori è come cercare di piantare un fiore in un mare di acido solforico.
Per verificare e misurare il grado di adattamento o maladattamento a una prassi scientifica senza gambe, delle protesi della prassi clinica di ogni giorno, può risultare estremamente utile una riflessione sulle risorse umane impiegate per mantenere in piedi la cosiddetta rete per lenire la sofferenza mentale. Prendiamo le mosse dai dati ufficiali del Ministero della Salute.
Scopriamo, così, che, nell’ambito delle figure professionali impegnate in Italia per lenire la sofferenza mentale, il 67% circa è rappresentato dalle professioni mediche/infermieristiche, il 21% circa dall’insieme delle cosiddette professioni sociali e solo il 6% circa dalle professioni psicologiche. Se i numeri parlano, la «rete» dei servizi di salute mentale non è attualmente, di fatto, che un manicomio farmacologico, che utilizza il servizio sociale come sostegno, per perpetuare un’idea di malattia prettamente organica, ormai obsoleta nel campo scientifico.
Insignificante, difatti, è la percentuale dei professionisti che curano le ferite specifiche della patologia mentale: ricostruire la capacità di pensare e agire in relazione agli altri.
Più che lettera morta, è possibile sostenere, senza tema di alcuna smentita, che nella prassi scientifica e nella prassi clinica la teoria dei 3 fattori, mirante alla piena tutela, è “lettera mai nata” in concreto, nonostante una crescente mole di prove empiriche a favore degli approcci diagnostici e di cura multidisciplinari, psicoterapici e di comunità.
I perché di questa “lettera mai nata”.
I motivi risiedono sia a livello scientifico che a livello politico-istituzionale.
A livello scientifico, registriamo l’incapacità della scienza di costruire una psichiatria come psicoterapia.
Detto più precisamente, mutuando dalle parole dello psichiatra americano Arthur Kleinman, «invece di occuparsi della ricerca e della formazione dei futuri psichiatri, la psichiatria accademica si è allontanata dalla pratica clinica e dalla realtà dei pazienti per dedicarsi alla ricerca della causa biologica e genetica della malattia mentale, investendo risorse immani con risultati che adesso più che mai appaiono assolutamente fallimentari» (Cfr. A. Kleinman, Rebalancing Academic Psychiatry: Why it Needs to Happen – and Soon, in «The British Journal of Psychiatry», 201, 2012, pp. 421-422).
A livello politico-istituzionale, inoltre e non da ultimo, le forme – per così dire proprie o improprie – di statalizzazione del malato di mente e della sua cura inibiscono la libertà di scelta del malato, impedendo la diffusione di esperienze di cura risolutive, alternative e ristrutturanti.
La battaglia del Difensore Civico della Regione Campania contro le forme illegali di statalizzazione del malato di mente e della sua cura.
Riguardato, quindi, secondo una prospettiva di analisi più ampia e integrata, il già richiamato atto di invito del Difensore Civico della Regione Campania apre alla speranza perché censura nitidamente una espressione della forma più deteriore di statalizzazione del malato di mente e della sua cura, perpetrata dall’ASL Napoli 2 Nord attraverso la prassi consolidata di esternalizzare l’erogazione delle prestazioni sanitarie di residenzialità psichiatrica territoriale per adulti «a favore di operatori economici privi di accreditamento istituzionale e di autorizzazione», in aperta violazione del Decreto legislativo 502/1992 e ss.mm.ii..
Mentre sono tuttora in corso le indagini, avviate in materia dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, lo scorso 7 giugno il medesimo Difensore Civico ha rimesso all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ulteriori profili di illegalità e nuove scoperte inquietanti di un sistema malsano sulla pelle dei sofferenti psichici. Il Difensore Civico campano ha, infatti, chiaramente fatto emergere che:
- 1. le denunciate forme di esternalizzazione, ponendosi in gravissimo e irrimediabile contrasto con i princìpi di libera concorrenza, parità di trattamento e non discriminazione tra operatori economici, violano la normativa in materia di accordi contrattuali con gli erogatori privati accreditati per l’erogazione di prestazioni sanitarie – cfr., inter alia, la Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021 – e l’art. 106 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea;
- 2. l’ASL Napoli 2 Nord – ma occorre ora verificare in tutta Italia – censisce falsamente quale offerta pubblica attiva i 50 posti letto residenziali della offerta privata di cui alle medesime forme illegali di esternalizzazione, finanziandoli invero, come facilmente riscontrabile dal Bilancio Consuntivo Aziendale Anno 2021, quali acquisti di prestazioni sanitarie di psichiatria residenziale da privato, evidentemente e inoppugnabilmente esulanti dai volumi economici destinati agli erogatori privati istituzionalmente accreditati;
- 3. al netto del tetto di spesa annuo complessivamente assegnato alle strutture private istituzionalmente accreditate della cosiddetta Salute Mentale Adulti, residua, infatti, un valore economico di almeno 10 milioni di Euro, all’interno del quale hanno trovato asilo le linee di finanziamento delle denunciate forme illegali di esternalizzazione delle prestazioni sanitarie in argomento a soggetti privati del tutto privi degli indispensabili titoli idoneativi e abilitativi;
- 4. infine, l’Ente Regione Campania – ma l’indagine va estesa ad altre Regioni – finanzia, sotto specie di offerta pubblica attiva, i posti letto della offerta privata – non autorizzata né istituzionalmente accreditata – di cui alle denunciate forme di esternalizzazione.
Santolo Lanzaro, psicologo
0 commenti